Battlefield
Teatro della Tosse 2 - 4 marzo 2018
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Un estratto del celebre Mahabharata, poema epico indiano riadattato e messo in scena nel 1985 da Peter Brook, riletto attraverso l'adattamento drammaturgico di Jean-Claude Carrière, è stato l'evento teatrale offerto dal Teatro della Tosse in questa stagione 2017/2018. Lo spettacolo, in forma ridotta, condensa la poetica scenica del Maestro inglese.
Battlefield di Peter Brook è sicuramente l'evento epico all'interno di questa stagione teatrale. Ma il pubblico genovese non sembra pronto: chi messaggia con il reperto di un rumoroso Nokia, chi commenta da inizio spettacolo, chi, innervosito dai primi, urla dalla platea «E ora basta!», rovinando la poesia dello spettacolo e raggelando il pubblico.
La recitazione povera di tecnicismi, la nudità di costumi e scenografia, la voce ritmata dei giovani interpreti così come il tema della guerra fratricida e la presenza del vecchio re Dhritarashtra «condannato a vagare senza occhi» richiamano nel mio immaginario occidentale la tragedia greca. Si passa da un campo di battaglia a un altro, c’è sempre una nuova guerra da combattere e solo una volta osservati i cadaveri a terra e annunciatane la morte i combattenti si pongono domande su perdono e destino, giustizia e colpevolezza - «Chi merita di morire?» è una domanda che risuona in tutto lo spettacolo - di vincitori e vinti. Queste riflessioni sulle grandi sofferenze e i disastri creati dall'uomo non lasciano di certo indifferenti, ma l’alternarsi di pose statiche non permette una totale partecipazione emotiva alla storia: la reazione creata da Brook è più affine all'esito di una magia rituale, una fascinazione collettiva tenuta viva dal suono ipnotico delle percussioni di Toshi Tsuchitori.
Il Mahabharata di Peter Brook, ripresentato in un essenziale e accattivante estratto, ricostruisce con la sua poetica sintetica il fascino di quella trasmissione orale che la cultura occidentale ha sostituito con la forma scritta. Di fronte a questo processo, di cui il teatro è stato storicamente uno dei più importanti testimoni, Battlefield porta in vita un’epoca antica in cui l’uomo era intimamente connesso con la natura e le parole avevano il potere di creare la realtà. L’epica e il mito riportati veramente al teatro hanno il potere di creare un accesso a un patrimonio collettivo in cui l’archetipo si sostituisce al personaggio e, per riprendere Artaud, la metafisica alla psicologia. Non vi è traccia di individualismo nelle grandi sofferenze del vecchio Dritarashtra-Edipo o del nuovo re Yudisthira, nessun artificio stereotipico o tentativo forzato di caratterizzazione, spesso trappola mortale del mito letterario della contemporaneità: esiste solo l’uomo nella sua lotta di fronte ai problemi universali e il “Dharma”, principio regolatore delle cose nel mondo. L’invito è a continuare a riflettere sul teatro come luogo della catarsi dei conflitti, come spazio in cui la relazione tra vivo e morto - orale e scritto? presente e passato? - ma, in generale, tra forma e contenuto può attingere a forze vitali misteriose che appartengono a tutti.
Come un'impaziente tribù ci siamo stretti intorno al fuoco millenario del Mahabharata, in un silenzio crepitante, carico di aspettative. Ed è così che probabilmente l'Iliade e l'Odissea e Gilgamesh furono vissuti, attraverso una trasmissione orale scandita da un linguaggio tutt'altro che teatrale, che risuona d'antico, di saggezza e di immancabile intrattenimento. Non mancano le risate infatti a echeggiare all'interno del sacrissimo perimetro teatrale che Peter Brook ha saputo tracciare in questa equilibrata, essenziale ma tutt'altro che esile narrazione che sprigiona al contempo la forza e solennità proprie dell'Epica e il magnetismo irresistibile e profondamente saggio della Fiaba. Gli attori-aedi hanno ridipinto davanti ai nostri occhi il fascino mai sopito di Sherazade e della sua voce, a cui ore ed ore rimarremmo avvinghiati; con leggerezza e nobiltà hanno saputo donarci immagini cristalline ed eterne attraverso aneddoti di re, spiriti, animali. Questo incontro ha avuto il sapore ritrovato di un cerimoniale antico per cui noi tutti credo si è provata una vibrante nostalgia; questo antico testimone è infatti culla di due infanzie: quella della civiltà e della nostra.