L'ultimo spettacolo di Emanuele Conte e Michela Lucenti percorre nuovamente la strada di una sorta di teatro totale: la fusione di recitazione, danza, canto e arti visive, che tanto successo ha riscosso nelle due stagioni precedenti del Teatro della Tosse con Orfeo Rave. Ma mentre quest'ultimo utilizzava gli immensi spazi dismessi del padiglione fieristico come palcoscenico, Il Maestro e Margherita sceglie uno spazio teatrale tradizionale, pur parzialmente riadattato, facendo quasi invadere la platea dalla scenografia e dagli attori, liberi di muoversi tra il pubblico. Questa scelta più convenzionale ha il pregio di evidenziare quanto le costrizioni spaziali della formula teatrale influiscano sul risultato finale: la sensazione di assistere a uno spettacolo di stampo quasi televisivo è il rischio principale di questa formula. Alternare numeri di danza, canzoni e recitazione, proprio negli spazi costretti della sala, proietta la fruizione del pubblico in una sorta di extratestualità catodica, della quale si dubita continuamente la natura deliberata. Il corpo principale della rappresentazione è occupato dalla trasposizione della vicenda amorosa tra il Maestro e Margherita, e in particolare dal lungo monologo centrale di Margherita. Una straordinaria Michela Lucenti racconta in forma di recitazione, danza e canto, la sua discesa nel regno delle Ombre per salvare il suo Maestro. È questo il momento più intenso emotivamente della messa in scena: il magnetismo della Lucenti crea una sorta di fascinazione collettiva, di nuovo l'essenziale effetto del teatro. Il richiamo alla vicenda di Orfeo ed Euridice non può essere casuale: non solo per Orfeo Rave, ma soprattutto per il tema della scrittura; poesia per Orfeo, prosa per il Maestro. Questo fertile legame extratestuale rischia in realtà di sfuggire a chi non ha seguito la carriera di Conte e Lucenti, ma in generale aggiunge una dimensione interpretativa che si svelerà solo nel finale. Al Satana saggio e disincantato viene lasciata invece la riflessione sul potere e la necessità dell'ombra, senza la quale nessuna luce potrebbe brillare. E allo stesso modo della sofferenza, per ogni felicità. Questo prepara lo sfondo su cui viene evocata la risoluzione della vicenda. Il Maestro, autore di uno sfortunato capolavoro su Pilato, è chiamato a concluderlo per non lasciare nel limbo una vita generata dall'arte. Il manoscritto che si pensava distrutto dal suo autore non è andato perduto, perché ci rassicura Satana «i manoscritti non bruciano» . Anzi i manoscritti sono onnipotenti, in quanto destinati a creare la realtà, chiosa Margherita, mentre il Maestro riprende il suo lavoro, come Orfeo che continua a cantare perfino dopo la morte.
Il canovaccio del testo di Bulgakov viene frantumato e ricomposto in configurazioni sempre nuove, mescolato a suggestioni canore pop, ibridato con coreografie di danza colte o folkloristiche, annotato da monologhi che paiono più commenti alla vicenda narrativa che la sua realizzazione. Sicuramente in parte questo è il risultato di una scelta precisa: la difficoltà di adattare un romanzo che in origine è già una sorta di metaromanzo è indubbia. Ma la sua traduzione in termini teatrali pare essere più una scorciatoia per giustificare le giustapposizioni delle diverse coreografie, che frutto di una conscia progettualità. Questo comporta paradossalmente un pregio non indifferente: la percezione di un caotico perturbante sempre pronto ad emergere dalle vite apparentemente comuni dei protagonisti. Effetto ottenuto non per via narrativa, ma appunto teatrale, nel più puro significato della parola. Inoltre la progressione concettuale di questo Maestro e Margherita è ammirevole, naturalmente figlia del suo testo originario. I numeri di danza sia di derivazione cabarettistica (ad esempio il Pago cash con tanto di pioggia di banconote sul pubblico), sia più inerenti alla vicenda (la performance della Lucenti), aiutano a trovare un equilibrio tra istanze intellettuali e sensibili. Il risultato finale è quello di un buon equilibrio, per un buono spettacolo che riesce a tratti a brillare di una luce cupa e affascinante. Come Margherita, apparentemente ingenua, ma capace di non farsi spaventare da nessuna ombra.
Elementi di pregio: l'equilibrio delle componenti del teatro totale; la capacità di preservare i motivi salienti del romanzo; Michela Lucenti e il suo monologo. Limiti: la costrizione dello spazio teatrale convenzionale che limita il respiro del teatro totale; la scarsa chiarezza dei riferimenti al testo di Bulkagov chiosato più che narrato. Visto al Teatro della Tosse il 07/02/2018. Regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti Testo di Emanuele Conte ed Elisa D’Andrea liberamente ispirato al romanzo di Michail Bulgakov Coreografie Michela Lucenti Assistenti alla regia Alessio Aronne e Ambra Chiarello Impianto scenico Emanuele Conte Animazioni video Paolo Bonfiglio Costumi Chiara Defant Luci Andrea Torazza Musiche Tiziano Scali e FiloQ Mianoforte e musiche originali Gianluca Pezzino con Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Pietro Fabbri, Michela Lucenti, Marianna Moccia, Alessandro Pallecchi, Stefano Pettenella, Gianluca Pezzino, Paolo Rosini, Emanuela Serra, Natalia Vallebona Direttore di scena Roberto D’Aversa Elettricista Matteo Selis Macchinista Fabrizio Camba Attrezzista Renza Tarantino Costruzioni Carlo Garrone Assistente ai costumi Daniela De Blasio Sarta Anna Romano Produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse e Balletto Civile