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Marco Gandolfi

8½ | un sentiero attraverso MilanOltre 2019


Il festival di danza contemporanea MilanOltre, giunto addirittura alla sua trentatreesima edizione, deve affrontare il dilemma di tutto ciò che si dichiara oltre o altro (rispetto all'usuale, alla norma del già visto) e il naturale ingessarsi di ciò che si istituzionalizza e si trasforma in tradizione. A giudicare dallo spaccato di rappresentazioni a cui ho assistito, la risposta che il Festival dà a questo problema è parzialmente soddisfacente: la retorica dell'oltre, della ricerca di qualcosa di marginale è, in buona sostanza, un dispositivo verbale per riassumere un'attitudine, un'idea a cui tendere. Il risultato è quello di provare a fare il punto di tante eterogenee istanze che caratterizzano questa etichetta - così generica e quindi quasi sempre insoddisfacente - della "danza contemporanea".

Sarebbe presuntuoso trarre conclusioni sulla manifestazione avendo assistito a neppure metà degli spettacoli in cartellone. Sarebbe addirittura risibile il tentativo di trarre conclusioni sul genere indefinito e indefinibile della danza contemporanea. Quello che più modestamente si può tradurre da questa esperienza è una sorta di incompleto diario che provi a tracciare un percorso interpretativo seguendo le orme di quanto si è visto al Teatro Elfo Puccini. Di seguito proviamo a percorrere questo sentiero in otto tappe quanti gli spettacoli visti.

Con tre spettacoli la Compagnia Virgilio Sieni è quella più rappresentata. L'ispirazione dalle arti figurative, in particolare l'arte italiana tra il '300 e il '600, informa la costruzione del suo classico Solo Goldberg Variations. Sulle note di Bach suonate dal vivo al pianoforte da Andrea Rebaudengo, Sieni affastella quadri di grande fascinazione visiva, anche se le lunghe pause tra una variazione e l'altra - per far letteralmente prende fiato all'interprete - smontano continuamente il flusso emotivo della rappresentazione. Le ultime cinque o sei variazioni eseguite con l'aiuto del pubblico sono un'inattesa svolta autoironica in uno spettacolo che, pur nell'alto calibro formale che lo caratterizza, è sempre sul crinale di una eccessiva intellettualizzazione. L'elegante dinamica dei gesti di Sieni sembra trarci continuamente da questa sospensione per immergerci - in un dialogo armonioso con la musica di Bach - nella sua architettura corporea in movimento.

Una simile tensione è presente anche ne La Natura delle Cose, ispirata all'omonima opera di Lucrezio, ma l'esito è più problematico. Pur rimanendo affascinato dalla costruzione coreografica e scenografica dell'opera, devo confessare di avere qualche difficoltà a mettere in relazione il dato della danza con le elucubrazioni filosofiche che la dovrebbero ispirare. Questo nulla toglie alla sapienza estetica e alla suggestione dinamica che giunge allo spettatore: addirittura - in quella che forse è una conseguenza non voluta - ne rafforza il magnetismo, velandone di mistero l'intelligibilità. D'altra parte si potrebbe obiettare che se la natura delle cose fosse data come evidenza prima non ci sarebbe la necessità di ricercarla.

Lontanissimo come ispirazione e come stile, Shifting Perspective di Diego Tortelli, si rivela la sorpresa positiva del Festival. Ammetto che le premesse non erano molto convincenti: l'idea di potersi muovere liberamente sul palcoscenico per vedere da diverse angolazioni la coreografia, combinata con l'esortazione a condividere l'esperienza su Instagram, pareva più un espediente di - social - marketing che un'esigenza artistica. L'alta disciplina del pubblico dell'Elfo Puccini, attento a non infastidirsi reciprocamente muovendosi troppo liberamente, coniugata con la qualità trascinante della danza e dei performer ha reso la messinscena un successo. Lo spettacolo è stato molto applaudito ed è sembrato qualcosa di diverso dall'usuale, altro, se non nei singoli elementi che lo compongono - i movimenti robotici della danza sono ovviamente citazioni da influenze disparate quali breakdance e robot dance - almeno nel mix complessivo che va a costruire l'intera messinscena.

Il sorprendente pas de deux con un iRobot Roomba di Cristina Kristal Rizzo in VN Solo è in qualche modo connesso a Shifting Perspective nell'idea di fondere elementi coreografici con elementi originali ed estranei. Seppur l'interazione di fatto tra ballerina e robot sia sostanzialmente poco approfondita - limitandosi a brevi incontri nei momenti in cui il robot termina il suo ciclo "coreografico" per farlo ripartire - ci sono due aspetti che contemporaneamente agiscono sulla nostra percezione e riflessione: l'elemento autoironico di porsi sullo stesso piano di un elettrodomestico che danza nelle nostre case e la riflessioni sul crinale tra coreografia determinata - quella appunto del Roomba - e improvvisazione, sempre disponibile all'interprete umano. Per finire poi a chiedersi quanta libertà ci sia nel pattern apparentemente casuale del robot e quanti vincoli nel movimento umano.

Sicuramente interessante, ma probabilmente più dal punto di vista concettuale, è il lavoro Agon-Teens di Simona Bertozzi. Nella sua forma di saggio o esperimento, prova a fare luce sull'aspetto agonistico del mettersi in mostra. La dialettica tra competizione e collaborazione è assolutamente di base nella danza; la scelta di esplorarla con interpreti giovanissimi, molti di loro appena bambini, ne rivela il carattere di naturale innocenza ludica.

Alti risultati formali sono raggiunti da Ballade Preghiera Profana di Susanna Beltrami. La sua indagine della marginalità sociale in bilico tra ribellione autentica e indisponenza egocentrica ha una sottigliezza e fascino di buona fattura. La suggestiva sequenza finale chiede quanto per lungo tempo veniva solo suggerito: quanta responsabilità personale c'è nella ribellione attraverso il gruppo? Nel suo tentativo di evocare la contemporaneità senza farsi ingabbiare dalla cronaca, Ballade riesce a dipingere un quadro ricco di senso in una forma di singolare eleganza.

La compagnia Zappalà Danza è presente sia nella sua incarnazione principale che in quella dei giovani (CZD2). Quest'ultima mostra una dittico Être + Untitled di pregevole fattura: Être potrebbe essere paragonato a La Natura delle Cose nella sua vocazione metafisica, in quanto ambisce ad evocare una Genesi autogenerata e priva di trascendenza, fino all'individuazione della vita personale. Untitled si configura come ready made coreografico diventando una sorta di giustapposizione di gesti e sequenze di danza prese così come sono date da un caleidoscopio infinito di fonti d'ispirazione contemporanee. Il parallelo con Shifting Perspective è il più naturale anche se non perfetto.

Il punto più convincente della rassegna è anche la sua apertura: A. Semu tutti devoti tutti? della Compagnia Zappalà è un'affascinante riflessione sulla festa catanese di Sant'Agata tra devozione vera e simulata, tifo, individualità e collettività. La coreografia si mette in particolare evidenza per la poliedricità dei mezzi - videoproiezioni e musica dal vivo scandiscono i diversi quadri - e alcune felici scelte. Sullo sfondo di un ricorrente e ingegnosa rappresentazione danzante della calca, il corpo santo di Agata (Valeria Zampardi) viene trasportato inerte senza mai toccare il suolo. La poesia dei gesti della processione entra in confronto dialettico con l'incarnazione della folla e i richiami al tifo calcistico.

La lezione che questi otto spettacoli di MilanOltre lasciano è che dalla contaminazione dei linguaggi e delle suggestioni possono nascere le sorprese più grandi. E la verità sottostante che ritorna sempre: la capacità della danza di parlare, scavalcando il processo verbale, senza mediazioni linguistiche allo spettatore, non solo non ne limita il raggio di espressione contenutistica, ma - nei suoi esiti più alti - ne acuisce il potere indagatore e la persistenza nella memoria.

MILANoLTRE 2019

Festival Internazionale di Danza, Cultura e Oltre. 33esima edizione: 27 settembre-13 ottobre 2019.

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