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Marco Gandolfi

Antropolaroid - Istantanee senza fine


Tindaro Granata in Antropolaroid

L'esperienza di Antropolaroid è bipartita. La prima parte è quello che "normalmente" viene considerato lo spettacolo vero e proprio. La seconda la sua esegesi, compiuta dal protagonista/regista Tindaro Granata, con la premessa della propria non necessità, alla fine della prima serie di applausi. Eppure il disvelamento degli elementi autobiografici che hanno (narcisisticamente?) determinato la nascita dello spettacolo stesso, è non solo una serie di note a piè pagina, ma una esposizione di necessarie e fondanti interpolazioni del senso complessivo dello spettacolo. Quindi sua parte integrante, come cucitura narrativa di quanto avvenuto e detto in scena. Granata incarna sul palcoscenico tre generazioni familiari con l'intenzione - a momenti quasi finalistica - di arrivare alla sua storia di affrancamento da un destino apparentemente ineludibile di povertà e frustrazione delle ambizioni creative. Quando lo spettacolo finisce, lui può dire finalmente sé stesso nella propria voce, fuori dai personaggi, e celebrare al contempo la propria liberazione da una realtà ottusa che condanna all'inevitabile ruolo sociale determinato dalla nascita: o pescatore o contadino. Lui, al contrario, si affranca da questa condanna, lottando e mai arrendendosi diventa l'autore/autore di relativo successo che porta a Genova per il terzo anno il suo spettacolo. Si perdona questa autocelebrazione alla luce del talento di Granata, in grado di regalare momenti di grande magia intimista insieme a bozzetti socio-familiari di perturbante precisione. La sua capacità di evocazione di un tempo e una narrazione familiare passata è a volte stranamente troppo efficace, trasmettendo quasi una sensazione di artificiosità dovuta alla (eccessiva) conferma delle aspettative. Ma non si può che rimanere affascinati di fronte alla sottile e ricercata evocazione di piccoli bozzetti di cui lo spettacolo si compone, in economia di mezzi e dosaggio dei ritmi. L'esplicita citazione del programma antropologico nel titolo dell'opera rivela uno scarto: l'ambizione di estrapolare da una storia (auto)biografica un messaggio universale. Raccogliere i frammenti di un racconto che attraversa tre generazioni per estrarne un senso più ampio. Se questo programma può solo parzialmente riuscire per le sue stesse premesse, non un grammo elimina dalla fascinazione affabulatoria e performativa che Granata è in grado di incarnare nel suo caleidoscopio di personaggi e nelle sue polaroid piene di grazia. Opera diseguale e frammentariamente riuscita, ammiccante e narcisisticamente autocelebrativa, Antropolaroid ha il fascino del non finito del vissuto: sacrificando la coerenza dell'invenzione alla carsicità del reale giustifica se stessa non nell'impossibile ambizione antropologica, ma nella chiusa e irrevocabile, modesta e inappellabile, perfezione di una polaroid. Elementi di pregio: la virtuosa e credibile recitazione. Brillante uso delle luci. La semplicità e il carattere multiuso del costume di scena. Limiti: una certa stereotipata rievocazione delle tematiche ambiziosamente considerate come antropologiche. Visto al Teatro Nazionale di Genova, l'11 ottobre 2018. Produzione: Teatro Nazionale Di Genova Regia e interpretazione: Tindaro Granata Rielaborazioni musicali: Daniele D’Angelo Luci e suoni: Matteo Crespi

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oca, oche, critica teatrale
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