Una piccola comitiva capeggiata da una guida brandente l’ombrellino d’ordinanza entra nella sala della Triennale di Milano da una delle porte laterali e sale sul palcoscenico. Impiega un paio di minuti a guadagnarne il centro, preferendo piuttosto assieparsi sull’estremità destra della scena, camuffata da “dietro le quinte”, e ascoltare la donna (Monica Demuru) mentre racconta la storia e le funzioni di quell’edificio che molti anni prima veniva chiamato “teatro”.
Avremo ancora l’occasione di ballare insieme, ultimo lavoro di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, accompagnati da Francesco Alberici, Martina Badiluzzi e Emanuele Valenti, oltre alla già citata Monica Demuru, inizia in questa atmosfera timida e decadente, prossima a quella che ammanta Ginger e Fred di Federico Fellini, a cui lo spettacolo è liberamente ispirato. Pur non assimilandone la componente grottesca, la pièce riprende la storia dei due protagonisti del film, Pippo Botticella e Amelia Bonetti (interpretati da Marcello Mastroianni e Giulietta Masina), stelle del tiptap degli anni Quaranta chiamate a esibirsi, dopo decenni di inattività, in un frenetico programma televisivo al fianco di fraticelli miracolosi, ciclopici body-builder, politici in crisi mistica da digiuno.
Come spesso accade, Deflorian e Tagliarini si scoprono approssimandosi all’altro: in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni avvicinarsi alle quattro pensionate greche suicide significa interrogarsi sulla possibilità di rappresentare il dolore e la morte; in Reality tentare di restituire la maniacalità del diario di Janina Turek apre a un confronto con i limiti della narrazione; in Quasi niente la figura di Giuliana, protagonista di Deserto rosso di Antonioni, raccoglie le crepe che attraversano le esistenze degli interpreti sul palcoscenico. Allo stesso modo, in Avremo ancora l’occasione di ballare insieme, attraverso l’avvicinamento a Pippo Botticella e Amelia Bonetti, tre coppie di attori di tre generazioni diverse riflettono sul mestiere del teatrante, ricordano la loro prima volta su un palcoscenico, confessano il costante senso di inadeguatezza che li anima (espresso nel terrore che uno spettatore a un tratto si alzi e dica ad alta voce “Tu non hai il diritto di stare lì”), rievocano i lavori umili e frustranti con cui hanno dovuto sostenersi all’inizio del loro percorso. Soprattutto, i due autori mettono in scena un sentimento fino a questo momento inedito nei loro spettacoli: la frattura comunicativa, non verso il mondo, ma tra loro. «Da quant’è che io e te abbiamo smesso di ballare insieme? Da quant’è che abbiamo smesso di capirci?». È significativo, in questo senso, il lapsus tra “ballare” e “parlare” che gli interpreti commettono più volte durante i loro scambi: la consunzione di una pratica che è scenica, ma anche ludica, sensuale e memoriale, corrisponde a un’irrimediabile afasia relazionale.
Non resta, quindi, che salutare il pubblico e dirsi addio. Sul palcoscenico rovesciato in cui è ambientato lo spettacolo inizia, allora, un grandioso omaggio al Teatro. Emanuele Valenti riprende le mosse e gli atteggiamenti con cui grandi artisti del passato e del presente (tra cui Eduardo De Filippo, Antonio Rezza, Danio Manfredini) usavano e usano ringraziare gli spettatori al termine delle proprie esibizioni. Con una musica incalzante in sottofondo, le pose si susseguono a velocità crescente e la ripresa diventa un concitato carosello, che raggiunge l’apice quando Valenti si unisce alla schiera formata dagli altri attori sul fondo del palcoscenico, i quali alzano le mani strette tra loro un attimo prima dello spegnersi delle luci. L’essenza di questo finale pirotecnico, in contrasto così netto sia con l’apertura dello spettacolo, sia con i finali a cui Deflorian e Tagliarini hanno abituato i loro spettatori, può essere trovata nella conclusione delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke, in cui è trasmesso un simile avvertimento di felicità vertiginosa nella fine delle cose:
Ma se i morti dovessero mai destare un simbolo in noi,
vedi che forse indicherebbero i penduli amenti
dei noccioli spogli, oppure
la pioggia che cade sulla terra scura a primavera.
E noi che pensiamo la felicità
come un’ascesa, ne avremmo l’emozione
quasi sconcertante
di quando cosa ch’è felice, cade.
Elementi di pregio: il finale è esaltante e “nuovo” rispetto ai canoni a cui ci hanno abituato Deflorian e Tagliarini.
Limiti: a volte sembra ci sia una certa fatica a trattenere insieme tutti i piani in cui è strutturato lo spettacolo.
Avremo ancora l’occasione di ballare insieme
un progetto di Antonio Tagliarini, Daria Deflorian liberamente ispirato al film Ginger e Fred di Federico Fellini interpretazione e co-creazione Francesco Alberici, Martina Badiluzzi, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini, Emanuele Valenti aiuto regia e collaborazione alla drammaturgia Andrea Pizzalis consulenza artistica Attilio Scarpellini luce Gianni Staropoli e Giulia Pastore scene Paola Villani suono Emanuele Pontecorvo costumi Metella Raboni direzione tecnica Giulia Pastore cura e promozione Giulia Galzigni / Parallèle amministrazione Grazia Sgueglia un ringraziamento a Lorenzo Grilli per il training tip tap e a ziamame per la collaborazione ai costumi produzione Associazione culturale A.D., Teatro di Roma – Teatro Nazionale, ERT / Teatro Nazionale, Teatro Metastasio Prato coproduzione Comédie de Genève, Odéon – Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris, Théâtre populaire romand – Centre neuchâtelois des arts vivants, Théâtre Garonne – scène européenne et Centre Dramatique National Besançon Franche-Comté con il sostegno di Interreg France-Suisse 2014-2020, programma europeo di cooperazione transfrontaliera nel quadro del progetto MP#3 e del Romaeuropa festival residenze Ostudio Roma, Théâtre Garonne – scène européenne foto e video di scena Andrea Pizzalis
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