«Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo domani». In questa frase, scurrile, ma di un realismo disarmante, è racchiusa ogni cosa: il pensiero, l’indole, lo scopo e il lavoro di una figura lasciata – anche se sarebbe più opportuno utilizzare il termine “abbandonata” – ai margini del secolo scorso: Don Lorenzo Milani.
Milani nasce a Firenze nel 1923, da famiglia benestante e anticlericale ma che, proprio grazie alla sua ricchezza, riesce a evitargli l’arruolamento e gli consente di studiare come pittore. Nel 1943, il giovane e irruente Lorenzo si converte, iniziando il proprio cammino verso il sacerdozio. Un cammino per nulla facile, dal momento che, fin dai primi mesi in seminario, le sue idee destano non poco scompiglio, per non parlare del suo carattere: avvezzo a parlare senza mezzi termini, inframezzando i propri discorsi con turpiloqui e bestemmie, Lorenzo fa rabbrividire le alte sfere clericali, che non aspettano altro che “vendicarsi”.
Non appena indossata la veste sacerdotale, Don Milani viene mandato a San Donato di Calenzano, un paesino vicino – ma non troppo –a Firenze: lì si concretizzano la sua dedizione verso i più bisognosi, la necessità di istruire chi non poteva permetterselo e il disprezzo verso quell’istituzione che professava misericordia ma che, in realtà, era più incline allo sfarzo e al procacciarsi l’appoggio dei potenti. Una figura così scomoda, oltre al fatto di non poter passare inosservata, non poteva certo essere lasciata libera di agire indisturbata; così, nel 1954, Don Milani venne trasferito a Barbiana, una minuscola e sperduta frazione di montagna a cui si poteva arrivare solo superando le tre ore di camminata in salita. Don Milani è profondamente in collera, ma decide di contrattaccare: fonderà una scuola! Una scuola gratuita, allestita nella canonica, che tutti i bambini del paese dovranno impegnarsi a frequentare perché «solo con le parole ci si difende, in questo mondo». Dopo pochi mesi, la rivoluzionaria Scuola di Barbiana diventa un caso nazionale e chiunque – docenti, giornalisti, turisti e anche importanti figure pubbliche – vuole vedere quel piccolo miracolo con i propri occhi.
In un primo momento, Don Milani pensa che una tale risonanza possa essere il vero punto di svolta, ma non è così. Il Clero non può tollerare che un personaggio simile riscuota un così esteso successo mettendo a rischio l’intera istituzione: per i testi di Don Milani viene vietata la stampa, tanto che solo nel 2014 la ristampa di Esperienze Pastorali non ha più subito proibizioni! Le lettere che riceve sono colme di minacce; la speranza di aiuto e conforto si fa così evanescente da arrivare a un processo penale: fu infatti accusato di apologia di reato, poiché intimava i giovani a compiere obiezione di coscienza contro la leva militare obbligatoria. Al momento dell’appello, però, non si raggiunse la sentenza: Don Milani stava morendo. Al capezzale, volle incontrare un’ultima volta i suoi ragazzi, ai quali disse: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto». Era il 26 giugno 1967.
Mi sono dilungata sul racconto della vita di Don Milani, seppur brevemente e senza rendergli veramente giustizia, perché anch’io mi sono posta tra le fila di coloro che sì, magari lo avevano sentito nominare, ma non conoscevano veramente la sua storia. Sono entrata nella Sala Clivio di Sorbolo – un paesino della provincia parmigiana – in un modo e ne sono uscita con tutt’altro spirito, domandandomi continuamente come fosse stato possibile un silenziamento simile.
Al di là delle credenze, religiose o politiche, di ognuno, l’esempio di Don Milani deve essere tale: un esempio. Un simbolo della vita spesa per i più deboli e i più poveri, un segno di lotta pacifica per i propri ideali, un emblema di conflitto verace contro chi detiene il potere indossando la corona dell’ipocrisia. Don Milani è questo lottare, fino all’ultimo respiro, e sempre da solo.
Cammelli a Barbiana, scritto da Francesco Niccolini e Luigi D’Elia (quest’ultimo in scena) e con la regia di Fabrizio Saccomanno, riflette esattamente questo scopo: ridare dignità a una figura che, sia mentre era in vita sia molti anni dopo la sua morte, ha subito una continua e ingiustificata damnatio memoriae. Le pretese drammaturgiche sono poche, il palco è sgombero, pare non esserci scrittura scenica, ma la potenza del messaggio sta nel racconto stesso, nelle parole di Don Milani che arrivano a schiaffeggiare gli spettatori tramite la voce di D’Elia.
Destreggiandosi tra il teatro di narrazione e il monologo in prima persona, D’Elia offre una performance intima, familiare, rivolta a più persone possibile e che lascia trasparire tutte quelle contrastanti sfumature della personalità di Don Milani, i cui colori sono così variegati da apparire come un arcobaleno in cui, ogni tanto, compare anche un po’ di nero; un nero necessario, indelebile, punto di forza ma anche di debolezza, perché non è un eroe ad essere portato in scena, ma un essere umano che ha saputo tessere le proprie fragilità fino a renderle uno scudo.
Elementi di pregio: la performance di D’Elia, che ha saputo tenere alta l’attenzione del pubblico, interamente da solo, dosando alla perfezione i tempi comici e drammatici.
Limiti: solo a livello di gusto personale, ritengo che un accompagnamento musicale più presente non possa far altro che mettere in risalto ancor più ciò che già funziona.
Cammelli a Barbiana - Don Lorenzo Milani e la sua scuola
Visto presso la Sala Clivio del Centro Civico di Sorbolo (PR) il 4 marzo 2023
Uno spettacolo di Francesco Niccolini e Luigi D'Elia
Con Luigi D'Elia
Regia Fabrizio Saccomanno
Distribuzione e messa in scena INTI
Una produzione Thalassia – TEATRI ABITATI
Con la collaborazione della Fondazione Don Lorenzo Milani
Comments