Una sfilza di domande scomode, pungenti e a cui, talvolta, si riesce a rispondere soltanto con un “non lo so”.
Una sedia, tre intervistati, due intervistatori e una luce che si fa musica, scandendo il ritmo dell’incontro.
Una scenografia semplice che, di contro, si fonde con una drammaturgia densa e complessa.
Aborto, sterminio di massa, cambiamenti climatici, eutanasia, relazione aperta, omosessualità, segreti di Stato, bioetica – e molto altro – condensati in un’ora e venti di spettacolo.
Dati sensibili, nelle sue vesti di monologo e “teatro di idee”, pone interrogativi e apre dibattiti, divide e unisce, pone al centro l’essere umano per poi disintegrarlo.
All’interno della rassegna Insolito Festival, nell’affrescata cornice BDC di Parma, Teodoro Bonci del Bene, regista, interprete e amico di Ivan Vyrypaev (drammaturgo e regista cinematografico russo, autore del testo Dati sensibili) decide di fare tutto da sé, interpretando i cinque i personaggi: una psicologa, una biologa e un neuroscienziato che si sottopongono a un’indagine sociologica rispondendo alle domande di due intervistatori misteriosi. La performance assume i connotati del monologo, ma lo è prettamente da un punto di vista formale: Bonci del Bene è solo, non cambia d’abito e non camuffa le voci, ma si riesce comunque a percepire la convivenza, dentro di lui, di cinque personalità totalmente diverse. Come? Con la luce. La luce è fondamentale – come ha anche dichiarato lo stesso regista al termine dello spettacolo, nel dibattito mediato dalla professoressa Roberta Gandolfi. La luce scandisce il ritmo, dà il tempo e alterna i personaggi: quando si accende o si spegne, è chiaro chi abbia preso la parola. La luce è la sesta protagonista di Dati sensibili.
Sempre Gandolfi ha parlato, commentando lo spettacolo, di “teatro di idee”, nel senso più puro del termine, in quanto la drammaturgia ha lo scopo di “scuotere le coscienze”, di ridestarle dal torpore. Il fitto elenco di questioni “scottanti” riportato all’inizio di questa riflessione viene sviscerato da tutti e tre gli intervistati e tutti, seppur arrancando nell’incertezza, rispondono. Al di là dell’importanza di certe questioni, ritengo che sia questo il punto focale di Dati sensibili: su quella poltrona, sottoposti alle stesse domande, siamo noi spettatori. Daremmo le stesse risposte? Smorzeremmo l’ardire degli “inquisitori”? Ma soprattutto: cosa risponderemmo? A volte si pensa che sia troppo facile rispondere con un “non lo so”, come hanno fatto alcuni dei partecipanti all’esperimento; altre volte, è inevitabile. In una società dove si insegna a essere convinti delle proprie idee oltre ogni ragionevole dubbio, dove sta il margine di errore o la capacità di auto-analisi? Il rischio non è forse allora il nichilismo, o l’incapacità di guardare con gli occhi dell’altro per comprenderne esigenze e punti di vista? Non si generano scontri? “Non lo so”.
Dati sensibili ha permesso questo: attraverso una lunga serie di domande generali e relative a questioni scientifiche – anche etico-morali – arriva a far dubitare del nostro stesso io.
La scienza, come si intuisce dalle professioni dei tre protagonisti, è il loro comune denominatore.. Essa stessa, con le proprie risposte certe, “preconfezionate”, è messa costantemente in discussione. E il fatto che il testo di Ivan Vyrypaev sia stato scritto nel 2021 ma ambientato nel 2019 è un altro punto a favore di questa crisi calcolata e drammaturgicamente programmata. Nel non molto remoto 2020 infatti, scienza, medicina e, più in generale, le istituzioni si sono rese vulnerabili dalla confusione generale provocata dalla situazione pandemica, risultando talvolta addirittura impotenti. Se nemmeno le discipline dotate di più credibilità e attendibilità scientifica hanno combattuto la stessa battaglia ma, anzi, si sono armate di interessi – politici ed economici –, trincerandosi nel paradosso, la società come poteva dirsi unita? Non era forse chiamata anch’essa a schierarsi dall’una o dall’altra parte?
Dati sensibili utilizza la scienza per parlare di salvaguardia dell’ambiente e di diritti civili, temi divisivi, sui quali al contrario non dovrebbero esserci dubbi. Gli stessi protagonisti, uomini e donne di scienza, sono divisi, in disaccordo. E questo può avere un effetto tranquillizzante (perché siamo seguaci del sempreverde “il mondo è bello perché è vario”) o terrorizzante (perché siamo consapevoli che anche dietro a questioni basilari si celino ideologie manipolatorie?)
Ciò che chiarisce definitivamente le motivazioni che hanno portato Vyrypaev a scrivere questa drammaturgia e Bonci del Bene a metterla in scena è la sua collocazione. Dati sensibili, infatti, si trova all’interno di un progetto, voluto dal Teatro Nazionale di Genova, dedicato ai vent’anni dal G8 del 2001. Utilizzo le parole delle mie colleghe Oche, che hanno realizzato una illuminante e interessante analisi in merito al G8 Project:
«Il Teatro Nazionale di Genova ha aperto la sua Stagione 2021/22 con il G8 Project, rassegna dedicata al ventennale del G8 di Genova. In scena, nove drammaturgie originali scritte da autori e autrici provenienti dai Paesi presenti al G8 del 2001. L’input rivolto agli artisti è stato non tanto e non solo di ripensare i fatti accaduti nel 2001, quanto piuttosto di cogliere l’occasione per ragionare sui primi vent’anni di questo nuovo secolo: guardare in prospettiva al passato recente, nelle sue realtà infinite e contraddittorie, ma anche porre in prospettiva un’ipotesi di futuro, di sviluppo, di modelli praticabili, con uno sguardo propositivo anche per le nuove generazioni.»
(dall’Introduzione della rassegna G8 Project: https://www.locacritica.com/g8-project)
Ora risulta estremamente chiaro lo scopo di “smuovere le coscienze” che questa performance si prefigge: parlare al e del presente, ma con lo sguardo rivolto verso un evento ormai lontano che avrebbe dovuto essere la svolta, un momento storico di vera unione, in cui tutti erano volti a risolvere problemi più grandi della politica e dell’ideologia. Ma quello che doveva essere ricordato come un incontro, nella memoria è solo scontro.
Ivan Vyrypaev, attualmente, vive a Varsavia con la moglie. Non può fare ritorno in Russia, dove lo attenderebbero quindici anni di carcere per essere finito nel lungo elenco di intellettuali, giornalisti, blogger giudicati “nemici del popolo”. Le sue opere sono state ritirate dal governo e qualsiasi direttore artistico o regista che avesse intenzione di metterle in scena rischierebbe, anch’egli, quindici anni di carcere.
«Innanzitutto, una persona non nasce né come cittadino del proprio paese, né come oggetto della cultura nazionale e nemmeno come portatore di una certa lingua.
Una persona nasce innanzitutto libera.»
Honora Bfasa, Premio Nobel per la pace e attivista per i diritti umani in Kenya.
Elementi di pregio: l’ironia – definita scherzosamente “siberiana” durante il dibattito – che smorza offre spiragli di respiro durante uno spettacolo mentalmente impegnativo.
Limiti: la durata. Sebbene Bonci del Bene abbia esplicitato il fatto che, per volontà di Vyrypaev, il testo non debba subire tagli, risulta comunque ostico riuscire a mantenere un alto livello di concentrazione per l’intera della performance, soprattutto per la complessità dei concetti espressi.
Dati sensibili: New Constructive Ethics
visto il 22 settembre 2022, all'interno di Insolito Festival di Parma
Di Ivan Vyrypaev
Produzione Teatro Nazionale di Genova
Traduzione, regia e interpretazione Teodoro Bonci del Bene
Costumi Medina Mekhtieva
Luci Davide Riccardi
Aiuto regia Francesca Gabucci
Foto di Federico Pitto
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