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Claudia Burzoni - Serena Chiaramonte

Di lupi, di carovane e di feste | Teatro Vagante, Civitaretenga 2024


[…] che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.¹

Parma, 
un giorno caldissimo

Alle oche piace migrare, anzi: per quelle della nostra specie è una necessità. E lo fanno con gioia: dispiegano le ali e arricciano le zampe, portando con sé una minuscola valigia, dove stipare giusto un po’ di curiosità.

Il problema è il ritorno. Il rituale è lo stesso: ali e zampe pronte, ma quella valigia pesa molto di più. 

E se la si apre e tutto quello che c’è dentro si disperde?

Allora sta lì. 

Chiusa. 

Per qualche giorno.

Quando si decide di aprirla, significa che è arrivato il momento di raccontare. 


Civitaretenga (AQ),
17-21 luglio

Per una terza estate, l’Oca è volata in questo piccolissimo paese perso tra gli Appennini abruzzesi e, per tre giorni, ha avuto la possibilità di osservare da vicino il lavoro della carovana radunata da Teatro Vagante. Da quattro anni, Sara Gagliarducci e Valentina Nibid vagano alla ricerca di storie da raccontare che, una volta raccolte, possano essere restituite, in vesti teatrali, a coloro che le hanno davvero vissute.


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Foto di Francesco Paolucci

Corrispondenze

La Natura è un tempio dove incerte parole 
mormorano pilastri che son vivi,
 una foresta di simboli che l’uomo
 attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari.
  
Come echi che a lungo e da lontano
 tendono a un’unità profonda e buia
 grande come le tenebre o la luce
 i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.²

La matita infilzata nella bobina.

Il nastro torna indietro: sono in pochi ad averlo visto; altri sono rimasti sbigottiti.

“Stavo guardando proprio lì, mi è passato davanti e non l’ho visto”. 

La notte si sente, insieme ai cani; il suo ululare assomiglia al pianto. 

“L’ha mandato Sant’Antonio. È il suo benvenuto”.

Quel lupo – visto e non visto – , tra l’erba alta al tramonto, non poteva che essere un segno.

Apparso per spiegare l'indefinibile.


Chi non ha avuto la fortuna di avvistarlo durante la camminata che ha condotto i membri della carovana per le stradine del paese, si è trovato nella posizione di doversi fidare di quei pochi che, invece, ne sono rimasti incantati. E temo che non sia corretto definirla una “condizione necessaria”, bensì un atto magnificamente naturale di fiducia verso quei prossimi, vicini nello spazio ma ancora sconosciuti. 

Ospite silenziosa, la fiducia ha abitato le mura dell’ex-convento di Sant’Antonio insieme alle anime, camminava con loro, toccava le pietre bianche, ma soprattutto è stata motore, rendendo finalmente visibile l’invisibile, dandogli un nome, il proprio: Fiducia, quel lupo mandato da Sant’Antonio. 


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Foto di Francesco Paolucci

Fiducia è il principio – “promessa” ma anche “inizio” - del lavoro svolto da Sara e Valentina, fondato su un mutuo scambio che avviene tra Teatro Vagante, le persone che incontra, i luoghi che riscopre e coloro a cui è affidata la restituzione di ciò che è stato raccolto; un circolo “dell’affidarsi”, dove origine e fine si tengono per mano. 


L’attività laboratoriale prevede primissimi esercizi di conoscenza e consolidamento del gruppo, in modo da rinforzare un altro aspetto fondamentale sia dal lato puramente scenico sia da quello umano: l’inclusività. La carovana, nella sua ordinata casualità, era composta infatti da chi si occupa e vive di teatro, ma anche da chi partecipava a una residenza per la prima volta o non era mai salito su un palco; e questo è sempre scambio, sempre crescita e curiosità. 

Mentre le pietre del chiostro si colorano di un arancio avvolto dal brusio e dalle risa, una porticina socchiusa rapisce lo sguardo di ciascuno; “l’angolo Caravaggio”, l’hanno definita. Nel buio della sacrestia, illuminata appena dalla fioca luce di una lampada, Alessandra Amicarelli lavora instancabilmente al segreto, rivelato quella sera stessa alla carovana


Dal secondo giorno, tra la consapevolezza di un tempo che si restringe e ritmi serratissimi, fa il suo ingresso il copione, frutto di quel girovagare e raccogliere tipici di Teatro Vagante. Nei mesi che hanno preceduto la residenza, Sara e Valentina hanno letteralmente girato “casa per casa” Civitaretenga, domandando ai suoi abitanti che cosa significasse per loro il fare  – o essere – festa. Da qui, La festa delle feste. Dai racconti di adulti, bambini, giovani e non più giovani è emerso quanto questo piccolo borgo sia inondato di feste – soprattutto in agosto, quando «tornano tutti, per le feste dei Santi». I paesini di provincia, i borghi arroccati celano queste dinamiche talvolta incomprensibili per chi vive in grandi centri abitati: per la maggior parte dell’anno, essi rimangono quasi assopiti, circondati da campi, dalla Messa la domenica, da una chiacchiera nell’unico bar della zona, sempre ammesso che ci sia; e spesso tutto questo viene definito erroneamente “il nulla”, quando in realtà è semplicemente attesa, tant’è che «l’attesa è già festa», come un bambino che vede il mare per infinite prime volte. 


È a questo punto che torna in campo la fiducia: il lavoro sul copione, l’assegnazione delle battute e le accortezze registiche possono, per loro natura, generare qualche preoccupazione, soprattutto per chi non è avvezzo alla pratica teatrale. Quello di Sara e Valentina, però, è stato un approccio basato sulla spontaneità e sulla libertà che ciascuno era in diritto di concedersi scegliendo le proprie postazioni – le “case” –, dichiarando alcune difficoltà o incertezze, cancellando battute o rivedendo le tempistiche. Quindi, ciò che in un primo momento era apparso casuale e caotico, alla fine è divenuto una restituzione naturale: nessuno recita, ma tutti stanno vivendo. Le voci di chi aveva raccontato si sono amalgamate a quelle della carovana, chi aveva parlato, ora è in ascolto e si riflette in ciò che vede. Ed è qui che l’inizio e la fine di quel circolo dell’affidarsi si re-incontrano e si tengono per mano con chi si è fatto corpo, teatro, quindi dono per chi lo osserva. 


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Foto di Francesco Paolucci

Segreto…

Spunta la luna.
Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s’allaccia;
sbanda a povere mète.
Ed è il pensiero
della morte che, infine, aiuta a vivere.³

La festa-spettacolo si è svolta attraverso vari momenti: il canto ucraino, che ha ipnotizzato gli spettatori, ha poi lasciato spazio alla performance della carovana, conclusasi con una grande cena allestita nel chiostro, tra brindisi e musica.

Infine, il momento tanto atteso.

In piccoli gruppi, i partecipanti alla festa-spettacolo si avvicinano con trepidazione al portone chiuso della chiesa, un luogo atavico quando si tratta di confessioni e rivelazioni. Una volta fatto loro cenno di entrare, gli spettatori si ritrovano nella navata immersa nel buio, guidati dalle torce degli attori e delle attrici che li accompagnano ai posti.

Senza preamboli né spiegazioni, la registrazione inizia e Alessandra Amicarelli si alza per dirigere il buio e la luce.


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Foto di Francesco Paolucci

«Erano i primi giorni dell’anno 1944 e Civitaretenga fu invasa dai tedeschi». Silvio Sarra, nato a Civitaretenga nel 1935 e, all’epoca dei fatti narrati, un bambino di nove anni, inizia così il suo racconto. Nonostante la voce sia stata prestata da Giulia D’Attilio di Conventus, la testimonianza rimane comunque un pezzo prezioso del passato che Silvio ha custodito per anni, oscurato dalla tirannia della memoria; questo almeno fino al 2007, quando un devastante incendio divampò nella pineta limitrofa, riducendola in cenere e detonando, a sua volta, i ricordi di Silvio. 

Il convento che ora straripa di musica e canti, in quel 1944 era stato adibito ad arsenale e si vociferava che, il 14 di giugno, il paese avrebbe visto lo scontro tra forze alleate e truppe tedesche; intanto, la cittadinanza aveva avuto l’ordine di evacuare. La notte tra il 10 e l’11 giugno, però, il corso degli eventi cominciò a mutare: sono apparsi i lupi. Questi non morirono sotto i colpi delle mitragliatrici, anzi se ne andarono con la stessa calma con la quale erano arrivati. Sono stati reali? Poco importa, per zia Albarosa era «certamente opera di Sant’Antonio». La stessa notte, una moltitudine di partigiani, apparsa sulle pendici delle montagne, convinse i tedeschi ad abbandonare definitivamente Civitaretenga, per paura di essere accerchiati su due fronti. Il parroco riuscì a convincere il capitano tedesco a spostare tutte le armi e le munizioni nascoste nel convento, che vennero fatte esplodere sulla statale 17: la piana di Navelli, dopo un tremendo boato, si illuminò a giorno – come nell’incendio della pineta. Il mattino seguente, senza più un tedesco nel paese, quei partigiani scesero a valle, ma erano solo in quattro, non una schiera. Il 14 giugno, all’alba, giunsero davvero gli Alleati, ma proseguirono verso Nord, non trovando nemici.


Nel frattempo, Alessandra si muove tra le sue sagome di legno, sapientemente intagliate per rappresentare i momenti cruciali della storia. Queste sagome, statiche e fisse come le immagini sacre della chiesa di Sant’Antonio, suggeriscono la precisione e la dedizione che Alessandra ha avuto nella preparazione della propria opera: qualsiasi variazione di luce, se non calibrata, avrebbe potuto compromettere l’effetto finale, ogni movimento e proiezione dovevano essere perfettamente sincronizzati con la registrazione in corso, il tutto unito alla premura che ogni spettatore dovesse godere di una visione chiara. Il risultato è stata un’esperienza tanto immersiva quanto indimenticabile. 


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Foto di Francesco Paolucci

«A questo punto, ognuno giudichi a suo modo. Se non fossero accaduti questi due avvenimenti quantomeno strani (i lupi e le colonne di uomini), molto probabilmente Civitaretenga sarebbe stata distrutta da una terrificante battaglia. A testimonianza di quanto detto, riportiamo le firme delle persone che vissero quei momenti»: una pioggia di voci e nomi scende nella navata.Qualche giorno prima, Alessandra aveva invitato gli attori e le attrici della carovana nel proprio angolo Caravaggio per poter registrare i nomi apparsi sul documento di Silvio – venti, in totale.E in quella chiesa, tra quei banchi al buio e accerchiati da voci e ombre, i presenti hanno rievocato i nonni, gli zii, i papà e le mamme che non ci sono più, ma festeggiano ancora, con loro, nel piccolo cimitero tanto curato che sta proprio lì accanto.



… e luna piena


L’Ochetta ha concluso il suo racconto. 

È un po’ stanca, ma solo perché la penna con cui scrive è sua, strappata tra le altre e parte della sua pelle. È tinta dell’inchiostro di quei giorni e, nel riporla, rimarrà una chiazza scura da sfoggiare con vanto e, nel riguardarla, proverà la stessa nostalgia che le Oche portoghesi chiamano saudade, quel limbo tra la malinconia del passato e la speranza verso il futuro. 

Nelle notti di luna piena, ripenserà a quella festa delle feste, ai lupi, alla musica, agli sconosciuti, ai balli, ai luoghi in cui tornare, alla magia, alle risate, agli addii. 

Ripenserà alla vita. 


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Foto di Francesco Paolucci

Anime


I compagni e le compagne di questo viaggio alla scoperta del territorio sono stati numerosi e preziosi, a partire da Progetto C.On.Ven.T.U.S. (Creativity On Ventures To Unabandoned Spaces), sostenuto da Creative Living Lab e promosso dalla Direzione Generale Creativa Contemporanea del Ministero della Cultura. L’entusiasmo e l’ideale portati da Conventus si sono toccati con mano, ne abbiamo viste le facce e abbiamo condiviso spazi e pasti. Insieme ai ragazzi e alle ragazze della carovana, l’Ostello sul Tratturo ha ospitato Federico Toso, responsabile del settore OCA (Outdoor – Circus- Arts) di Rete DOC, un servizio che da trent’anni si lega a realtà del mondo dello spettacolo al fine di sostenerle e guidarle nello sviluppo professionale. Massimiliano D’Innocenzo, presidente della Cooperativa Oro Rosso di Navelli, e Angelo Sarra, presidente della Fondazione Silvio Salvatore Sarra: come l’anno scorso, si sono dimostrati, oltre che legatissimi al proprio territorio, amanti devoti di quello che si preoccupano di proteggere e divulgare, desiderosi di poter trasmettere la loro stessa devozione ai giovani che ospitano e ferventi sostenitori di un’arte partecipata che, grazie alla lunga collaborazione con Teatro Vagante, può e deve essere uno strumento potente di senso di comunità

L’ospite d’eccellenza, Alessandra Amicarelli, scenografa e marionettista giunta da Milano su invito di Sara e Valentina, torna in quelle che sono state le proprie terre d’origine per raccontare il segreto, nascosto da quella memoria che, solo in tempi recenti, ha riscoperto la luce.

Questi volti, i sorrisi, le mani sono stati catturati dall’occhio attento e paziente di Francesco Paolucci, giornalista e socio di Conventus, i cui resoconti giornalieri hanno fissato ciò che poteva accidentalmente sfuggire.

Un ringraziamento speciale va alla comunità ucraina di Civitaretenga, al suo saper coinvolgere e essere coinvolta nella realizzazione della festa-spettacolo.

Infine, grazie a loro: Giorgia, Serena, Maura, Federico, Giulia, Matteo, Ilaria, Donatella, Ali, Giuseppe e Chiara; ora, la fiducia ha numerosi sinonimi. 


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Foto di Francesco Paolucci

Sorpresa


Un’altra Oca ha preso parte al progetto, anzi l’ha vissuto nella maniera più intesa possibile. Serena Chiaramonte vi regala il suo pensiero, ma soprattutto le sue emozioni:


Conventus per me è stata vita intensificata, eppure come sospesa nel tempo. I giorni passati a Civitaretenga sono stati scanditi da quello stesso passo lento, ma costante,  necessario a una salita in montagna, piacevolmente faticosa, che richiede respiri profondi e, nello spazio di un giorno, risveglia tutto il corpo intorpidito dalla vita quotidiana. Conventus è stato prendersi il tempo di guardarsi intorno, di esplorare lo spazio  – quello dell'Ostello sul Tratturo nel Convento di Sant'Antonio – con cura. C'è qualcosa di terapeutico nell'immergersi nel chiarore del chiostro e nell'apprezzare con lo sguardo le colonne, con i loro compatti, ma flessuosi capitelli, nell’osservare le macchie bianche e quelle più scure sul pavimento ruvido e nello scoprire ciuffetti d'erba che tenacemente ne abitano i bordi pietrosi. In poche ore ho potuto scegliere in questo spazio ben tre case, tre rifugi confortevoli e familiari. Il terzo era un comodo archetto del porticato, in un angolo, proprio sotto all'ombra diagonale delle tegole che il sole del pomeriggio disegnava sul muro, fino al tetto e poi al cielo di un azzurro intenso. A rendere l'Ostello e Civitaretenga una casa è stato però soprattutto l'incontro prezioso con tutti i miei compagni di viaggio. È un privilegio dover rinunciare subito all'imbarazzo per potersi osservare, guardare negli occhi, ripetersi più e più volte il proprio nome, fino a riconoscersi reciprocamente come riferimenti familiari nello spazio. Io non avevo mai partecipato prima a un laboratorio teatrale, né tantomeno avevo mai fatto un'esperienza simile a quella della residenza artistica e c'era in me la paura di non riuscire a lasciarmi andare. Tutto è stato invece estremamente naturale, senza forzature, come non sarebbe potuto accadere senza la guida di Sara e Valentina, che hanno saputo trasmetterci fin dal principio la gioia di partecipare insieme alla realizzazione di un progetto che parlasse a Civitaretenga della propria storia, passata e più recente, e in particolare all'allestimento di una festa pronta ad accogliere tutti gli abitanti del paese, persino gli ultimi arrivati e di passaggio come noi. Fare ciascuno, secondo le proprie capacità, la propria parte per la comunità che si abita, vivendo il percorso come parte integrante, persino più importante del risultato, una festa bellissima, che può esserlo però solo perché l'entusiasmo è stato nutrito e condiviso con cura nei giorni precedenti e che per questo rimane, come un tepore nel petto, anche al mattino seguente. Dopo una simile esperienza è difficile, persino doloroso, pensare di tornare alla vita forse più veloce ma sonnolenta di sempre, dove tutto questo è più complicato, dove le connessioni con gli altri esistono, certo, ma sono soggette a fastidiose interferenze. Conventus è stato un esercizio di umanità intenso e coinvolgente, da continuare a praticare con cura quanto più possibile fino alla prossima volta, che ci sarà, deve esserci. 


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Foto di Francesco Paoluci

 

Note

¹Gabriele D’Annunzio, I pastori

² Charles Baudelaire, Correspondances

³ Umberto Saba, Sera di Febbraio


Crediti Festa-Spettacolo

Scrittura e regia Sara Gagliarducci, Valentina Nibid (Teatro Vagante)

Con Giorgia Cavalieri, Serena Chiaramonte, Maura Colamartini, Federico Colapicchioni, Giulia Costantini, Matteo Giansanti, Ilaria Giardini, Donatella Mannuzza, Alidahir Mohisim, Giuseppe Mortelliti, Chiara Nasuti

Installazione di Alessandra Amicarelli

Evento realizzato da Progetto Conventus

Sostenuto da Creative Living Lab – Ed.5

Promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura


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