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Francesca Torre

Don Chisciotte | un esperimento fra teatro di narrazione, teatro comico e metateatro


Rileggere un grande classico della letteratura europea declinandolo ad archetipo del desiderio, dell’ideale, dell’impegno, attraverso la chiave del teatro popolare. Questo l’ambizioso progetto alla base dello spettacolo firmato da Pino Petruzzelli, interprete del celebre cavaliere errante, in coppia con il Sancho Panza di Mauro Pirovano. Un duo che, affiancato da Alessandro Pipino nelle vesti di frate e di musicista in penombra dietro il fondo della scena, non riesce a costituirsi come trio, malgrado le intenzioni. Ogni personaggio infatti sembrerebbe incarnare ognuno dei tre linguaggi in cui questo Don Chisciotte viene declinato: teatro di narrazione, teatro comico dialettale e metateatro. Queste forme si limitano però ad avvicendarsi, senza riuscire davvero a incontrarsi e a superare i confini che le definiscono come generi teatrali strutturati, forse anche data l’evidente sproporzione. Su tutte infatti domina incontrastata la dimensione comico dialettale a cui Mauro Pirovano presta voce, mimica facciale e che fa da contraltare al Don Chisciotte di Petruzzelli, riproponendo la dinamica, sempre vincente, servo-padrone, ognuno portavoce di due diverse visioni: idealismo-realismo, volere-potere, sogno-realtà, libertà-ragione.

Su questo terreno si innesta la rilettura delle avventure di Don Chisciotte in una chiave metaforica e che guarda in maniera esplicita all’attualità. Il cavaliere errante assurge a simbolo dell’impegno politico e della lotta contro l’ingiustizia e la sopraffazione: che siano mostri o mulini a vento, i tentacoli e le pale sono sempre inequivocabilmente nere. In questi momenti si rischia però di interrompere il ritmo dello spettacolo, che risulta quindi troppo sbilanciato verso la natura solistica del teatro di narrazione, con il rischio di scadere nella tirata moralistica. Il tutto a svantaggio dell’efficace botta e risposta fra la recitazione altisonante di Don Chisciotte e la chiave comica e popolare attraverso cui Sancho presenta la realtà. Chiave che perde però efficacia quando il servo, per vestire i panni degli altri personaggi incontrati durante le loro peregrinazioni, si cimenta in altre parlate locali rispetto al genovese: anche in questo caso i meccanismi teatrali vengono in quel momento compromessi e faticano a ripartire. Sorge spontaneo quindi il dubbio di quanto questo Don Chisciotte possa - voglia? ndr - funzionare al di fuori della Liguria.

L’elemento meta-teatrale, esplicito fin da prima dell’inizio dello spettacolo (quando i tre personaggi si confondono con il pubblico nel foyer e in platea) e impersonato sulla scena dagli interventi musicali del frate menestrello, rimane, a dispetto delle intenzioni, sullo sfondo. Limitato soprattutto alla funzione di accompagnamento musicale, confinato a orpello irrilevante rispetto al funzionamento della macchina teatrale, al di là della volontà di instaurare un contatto più diretto con il pubblico, se da un lato non è sviluppato in maniera sufficiente a giustificarne l’inserimento, dall’altro non ha nemmeno il coraggio di svelare compiutamente la sua natura di corpo estraneo. L’intervento delle voci di alcuni spettatori che si alzano dalla platea per contestare il finale prepara invece la morale conclusiva: una difesa appassionata dell’utopia in quanto capacità di “leggere oltre gli accadimenti”.

Forse uno spazio scenico diverso rispetto a quello del Teatro Duse, come quello della Piccola Corte, avrebbe contribuito a una maggiore integrazione delle diverse componenti e colmato quel divario tra platea e palco che si è cercato invece di riempire in maniera estemporanea. Potrebbero forse rispondere a questa esigenza anche i ripetuti riferimenti ad alcuni celebri film, scelta che non aggiunge nulla di rilevante all’impianto drammaturgico, risultando dunque fine a sé stessi.

Minimale, approssimativo e non esente da sbavature l’uso delle luci: su una scena spoglia, da questo punto di vista si sarebbe potuto osare di più.

Pregi: un esperimento interessante a metà fra teatro di narrazione e teatro popolare.

Limiti: spazio scenico inadeguato e scarsa omogeneità fra le diverse componenti.

Don Chisciotte

da Miguel de Cervantes

adattamento e regia Pino Petruzzelli

con Pino Petruzzelli e Mauro Pirovano

musiche dal vivo Alessandro Pipino

produzione Teatro Nazionale di Genova

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