«Affrontare testi celebri ignorando il peso della reputazione e sacralizzazione»: Massimo Mesciulam spiega così l'opportunità di confrontarsi, insieme agli allievi della Scuola di recitazione del Teatro Stabile, con l'appuntamento annuale dedicato alle Esercitazioni sui classici.
Portare in scena un'opera come Eracle di Euripide, infatti, significa fare i conti con la convivenza inevitabile tra la fedeltà al testo e la necessità di reinterpretarlo; il tentativo di Mesciulam di proporre un'esplorazione vergine della tragedia produce un adattamento in cui è soprattutto il testo a parlare.
Nel personaggio di Eracle, questa scelta traspare particolarmente: la sua prima apparizione è quella di un uomo profondamente turbato, quasi incapace di capire quello che sta succedendo alla sua famiglia, un non-eroe che di fronte al corso degli eventi oppone un incredulo «Che dici?»; la recitazione di Matteo Palazzo, che lo interpreta, calca proprio questi aspetti, aggirandosi in modo interrogativo per il palco.
A parlare è il testo anche quando lo spettacolo sembra muoversi in parziale autonomia rispetto a esso: l'atroce assassinio commesso dall'eroe non viene semplicemente raccontato, come accade nell'opera originale, ma, creando una corrispondenza scenica con le parole del messaggero, Eracle stesso fa rivivere sul palco l'omicidio dei figli (rappresentati da bambole) e di Megara.
Sempre generato, probabilmente, da un desiderio di aderenza all'originale greco risulta l'inserimento di parti musicali in corrispondenza di alcune strofe del coro, con la chitarra di Riccardo Marinari, scelta che risulta però poco naturale nel progredire dello spettacolo, che ne risente in organicità. E se è una chitarra a fare le veci della cetra, l'esercito di Lico è sostituito, invece, da una creatura a quattro zampe, senza volto, feroce, che il tiranno tiene al guinzaglio pur lasciando che si scagli verso chi gli si oppone.
Nonostante la saltuaria mancanza di fluidità, forse da attribuire in alcuni punti alla recitazione ancora non risolta e a tratti rigida dei giovani attori, lo spettacolo riesce nell'intento di portare il pubblico a contatto con un testo che ha in sé ancora molta attualità: dal significato del termine "amicizia", più che mai in discussione in quest'era popolata di social media, all'arroganza di un potere giovane che disprezza il giudizio dei suoi predecessori. Dal 420 a.C., Euripide torna a ricordarci che «la violenza e la vergogna sono due dee che non abitano vicine».
Elementi di pregio: molto apprezzato il cambio di scena in cui, al termine di una danza forsennata, le due donne del coro si trasformano nelle dee Iris e Lyssa.
Limiti: la volontà di sottolineare alcuni aspetti del testo nella caratterizzazione dei personaggi, unita alla recitazione non sempre solida degli attori, rendono alcuni personaggi quasi macchiettistici, in particolare la figura del tiranno Lico.
Regia di Massimo Mesciulam
Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova
Visto l'11 novembre 2017 al Teatro Duse
Durata: 90 minuti
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