Arlecchino si è presentato a Pordenone in una veste completamente inedita.
Eccolo al centro delle tante locandine appese per la città, rappresentato in un’interpretazione audace che non può non essere definita contemporanea: linee fucsia e arancioni sembrano tracciare le forme di un’impronta digitale sul suo volto, rendendo umana una figura che a tratti sembra non esserlo. Una corona di fiori gli adorna la testa, ma da essa pendono due cavi usb, mentre, se si guarda bene, gli occhi nascondono al loro interno degli ingranaggi meccanici.
La celebre maschera della Commedia dell’Arte fonde tradizione e progresso e diventa un riflesso dell’uomo nella società a noi contemporanea: un servo non più di padroni terreni, ma della tecnologia, da cui, a causa della nostra leggerezza, veniamo soggiogati.
Sopra questa figura campeggia la scritta “Reinventando l’umano”. La locandina rivela così il tema del Festival dell’Arlecchino Errante: cinque giornate dedicate all’arte e in particolare al teatro.
A sottolineare l’obiettivo del Festival si possono facilmente trovare sui programmi online o cartacei le parole dell’assessore alla cultura e ai grandi eventi, nonché vicesindaco reggente, Alberto Parigi, che ha sostenuto la necessità di emancipazione dalla dipendenza tecnologica e la volontà di coinvolgere quanti più giovani possibile in queste giornate.
Siamo a settembre, forse per approfittare della propensione ai nuovi inizi che le persone rivelano in questo periodo e invitare con maggiore facilità il pubblico alla riscoperta della spiritualità umana - e umanistica - che quest’era dominata dalla tecnologia sembra averci tolto.
Ma è in grado ad oggi l’arte di riscattare il nostro lato umano e salvarci da questa alienazione collettiva?
In parte, il Festival ci ha dimostrato di sì.
Immaginate, infatti, la magia di camminare in giro per la città e trovare tre trampolieri che passeggiano tra la folla, arrivare in piazza ed assistere ad uno spettacolo di mimi, svoltare a destra per raggiungere la vostra libreria di fiducia e avvistare tre fachiri che giocano col fuoco, per poi tornare alla macchina e vederla protagonista di uno show di clown.
Se vi capitasse di immergervi in fatti sì straordinari non potreste non alzare gli occhi dallo smartphone e meravigliarvi dell’umano e delle sue doti. Sono momenti di stupore che estraniano dall’ordinarietà e invitano senza dubbio, anche solo per pochi istanti, a riscoprire il fascino e la magia di cui la vita dispone e perché no, magari anche a prestare finalmente attenzione a quelle locandine colorate appese per la città. Si scoprirebbe così che il Festival dell’Arlecchino Errante ha un calendario ricco di eventi: artisti di strada di fama internazionale hanno invaso le piazze e le vie, ma non solo!
Nel cuore della città, in una sala raccolta all’interno di un ex convento, ogni sera i più curiosi si radunano ad assistere alle rappresentazioni teatrali di grandi artisti scelti direttamente dal direttore artistico Ferruccio Merisi. A sostenere le sue scelte è la volontà di dare spazio a spettacoli che presentino i diversi modi in cui l’uomo ha saputo reinventarsi di fronte alle problematiche contemporanee, per indurre gli spettatori ad affrontare la vita con maggior consapevolezza di se stessi e di conseguenza del mondo che li circonda.
Ad aprire le danze teatrali nell’ex Convento di San Francesco è Andrea Cosentino, attore e autore teatrale, vincitore nel 2018 del premio UBU, il quale porta in scena a Pordenone il suo spettacolo Rimbambimenti.
Inizia un monologo di due ore con l’intento di fare una divulgazione scientifica seguendo e spiegando tre grandi leggi fisiche che regolano il nostro universo, ma finisce ogni volta per sviare argomento su tematiche umane e quotidiane.
Tra risate e musica, ci conduce in un flusso di coscienza dove la sua mente si sdoppia con quella del suo alter ego marionettistico affetto da Alzheimer, creando uno spettacolo che coinvolge con tale naturalezza e umorismo che si spera possa non finire mai e lascia commossi. Cosentino, infatti, in questo caotico parlare, presenta l’umano nell’universale e fa così percepire l’assurdità e la piccolezza della nostra esistenza.
Ridefinisce l’uomo, non più come l’assoluto dominatore del mondo, ma come uno tra i tanti esseri viventi che la terra ospita, proponendo l’ironia come unica arma per affrontare l’incomprensibilità della vita e non farci sopraffare da essa.
Ridimensionare la condizione umana è d’altronde la premessa necessaria per agevolare il pubblico ad accogliere al meglio le riflessioni presentate nelle serate a seguire.
Greta Tommesani e Federico Cincinelli con CA.NI.CI.NI.CA sollevano il tema dello spreco nella filiera agroalimentare e dell’alienazione in cui viviamo, mentre Luigi Ciotta con Abattoir Blues affronta con leggerezza il delicato argomento degli allevamenti intensivi.
Il momento più atteso del Festival arriva però sabato sera, con l’assegnazione del premio La stella dell’arlecchino errante. A riceverlo Antonio Viganò, pluripremiato regista, autore, scenografo, direttore artistico, fondatore della cooperativa Teatro la Ribalta – Accademia Arte della diversità, Kunst der Vielfalt, la prima realtà teatrale che per il fatto di aprire le porte ad attori con disabilità e di garantire loro una retribuzione mensile viene definita totalmente inclusiva.
Alla cerimonia segue la rappresentazione del suo Otello Circus. Entrato in sala, il pubblico si raduna in un’intimissima platea circolare, proprio come al circo, ed è avvolto in un’esperienza teatrale totale. È impossibile non venire coinvolti dalla drammaticità dello spettacolo, una messa in scena innovativa e originale che affronta l’argomento tanto delicato del potere distruttivo della gelosia in amore.
In un gioco scenico di fumi e luci, ci si ritrova naso a naso con i personaggi dell’Otello, i cui attori, di una bravura straordinaria, dimostrano come l’arte possa abbattere barriere e pregiudizi.
Nonostante il successo del Festival e la grandiosità degli spettacoli proposti, resta un interrogativo: il processo di reinvenzione dell’umano a cui lo slogan del Festival auspica, è stato davvero raggiunto? A conclusione delle cinque giornate, rimane qualche dubbio.
I temi affrontati si sono rivelati già noti e fortemente discussi negli ultimi anni. È giusto continuare a proporli, ma rimane l’amaro in bocca per il sentore di falsa promessa che “reinventando l’umano” acquista.
La libertà di reinventarsi viene sì offerta, ma attraverso una spinta al cambiamento che parte da riflessioni già conosciute e trattate e che proprio per questo è più probabile che, se abbiamo la sensibilità per lasciarci colpire e smuovere da esse, abbiano già contribuito a un cambiamento nelle nostre vite. E se tale cambiamento non è ancora avvenuto, è possibile che si verifichi dopo aver affrontato nuovamente la problematica, ma a teatro?
È giunto il momento di tirare le somme. Se vogliamo parlare di originalità, non si è trovata - a mio avviso - nelle tematiche affrontate, quanto piuttosto nella possibilità che è stata data agli spettatori di partecipare attivamente ai workshop tenuti da ciascuno dei teatranti ospitati al Festival nei giorni successivi ai loro spettacoli, un’occasione unica per comprendere il processo creativo autoriale e per approfondire le riflessioni nate dalle performances. In questo modo la bellezza e l’intensità vissute hanno la possibilità di perdurare nel tempo.
Per quanto riguarda la promessa di cogliere le sempre più invasive influenze della tecnologia nelle nostre vite, sostenuta dall’assessore e vicesindaco prima dell’inizio del Festival, non si può affermare che sia stata pienamente mantenuta. L’argomento della dipendenza tecnologica è stato toccato solo parzialmente e indirettamente, nella misura in cui uno spettacolo, per le due ore della sua durata, tiene lontano dagli schermi e porta all’interazione sociale.
I presenti inoltre erano costituiti prevalentemente da un pubblico di età adulta e dai giovani aspiranti attori che si trovavano a Pordenone per partecipare ad un breve Master sulla Nuova Commedia dell’Arte, proposto alla fine delle cinque giornate di Festival: esclusi questi ultimi, il numero di ragazzi e ragazze che si sperava di vedere tra il pubblico non ha sicuramente soddisfatto le aspettative.
Il Festival dell’Arlecchino Errante - merito degli artisti e delle esibizioni proposte - rimane un successo e una dolce opportunità offerta al nord-est italiano, un encomiabile tentativo di
attrarre verso il teatro il maggior numero di persone possibile.
Combinare in un Festival esibizioni di strada durante la giornata e spettacoli teatrali serali può essere la giusta strada da intraprendere: l’arte offerta gratuitamente nel quotidiano garantisce inevitabilmente la possibilità di far interessare e inglobare sempre più persone nel mondo del teatro che, rispetto alle altre arti, è sicuramente quello che più fatica ad avere un pubblico ampio e diversificato.
Il teatro è senza dubbio in grado di risvegliare lati umani che teniamo repressi. Ma è necessario che la sua magia sia accolta da molte più persone e non solo dal suo pubblico abituale.
Solo così potremmo partecipare ad una vera reinvenzione collettiva dell’essere umano.
Festival dell’Arlecchino Errante – XXVIII edizione, Pordenone, 3-10 settembre 2024
Rimbambimenti di Andrea Cosentino
di e con Andrea Cosentino
drammaturgia sonora e musica dal vivo Lorenzo Lemme
CA.NI.CI.NI.CA di di Greta Tommesani
Drammaturgia, messa in scena e interpretazione Greta Tommesani e Federico Cicinelli
Collaborazione alla messa in scena Daniele Turconi
Cura del movimento Beatrice Pozzi e angela Piccinni
Otello Circus di Antonio Viganò
Scene e regia Antonio Viganò
Con Rodrigo Scaggiante, Sara Menestrina, Paolo Grossi, Maria Magdolna Johannes, Jason De Majo, Michael Untertrifaller, Rocco Ventura
Collaborazione artistica Antonella Bertoni e Paolo Guerra
Abattoir Blues di Luigi Ciotta
Di e con Luigi Ciotta
Regia Adrian Schvarzstein
Scenografia Yasmin Pochat e Augusta Tibaldeschi
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