“Ha una sua solitudine lo spazio, solitudine il mare, solitudine la morte”, scrive Emily Dickinson in una sua poesia, riflettendo sull’anima umana al cospetto di se stessa. Cos’è il dolore? Come lo si vive, affrontandolo insieme o ritraendosi dalla folla? Milo Rau nel suo Grief & Beauty lo racconta con un fare contemporaneamente intimo e sociale. La storia è quella di cinque persone prese in momenti diversi della loro vita: chi l’anno prossimo festeggerà il cinquantesimo anniversario di matrimonio, chi ha appena cominciato a vivere una vita piena e matura, chi oramai è andato in pensione e chi, invece, saluterà per l’ultima volta la propria vita e quella degli altri. Senza essere invadente, senza ricadere nella cultura del dolore, il regista svizzero ha saputo intrecciare con tatto e riverenza il sentimento più profondo e personale, quello legato al lutto, con la libera scelta della fine, l’eutanasia. Grief & Beauty è un testamento sull’avvenire, sulla memoria, sul principio e sulla fine; su qualcosa che è passato, forse perso, e su qualcosa che nascerà, liberato della sofferenza. È un viaggio toccante, intenso, solitario, universale.
È un giovedì di fine settembre, piove. Il Teatro Argentina di Roma accoglie il pubblico un po’ bagnato, un po’ asciutto, con le luci ancora forti in sala, mentre gli attori e le attrici si posizionano in quello spaccato di vita quotidiana ricreato sul palcoscenico. Uno spaccato di vita ben preciso nel tempo, come si evince dal letto assistenziale che occupa il centro dello spazio: si va incontro alla fine – sempre se esiste una fine. A fare da ‘tetto’ dell’abitazione, un videoschermo nell’alto della scenografia. Da lì una signora con la testa inclinata ci fissa incessantemente, quasi con fare consolatorio. Lei è Johanna, ha scelto l’eutanasia a 85 anni. Ha raccontato la propria morte, l’ha registrata senza una reale finalità di compianto o sofferenza. Lo schermo sarà per tutta la pièce il luogo delle confessioni, la sicurezza della parola, il primo piano delle vite dei e delle performer, la realtà morta attorno alla quale il gruppo si stringe e saluta Johanna. Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura e Gustaaf Smans sono quattro sconosciuti, non dialogano fra loro se non per porgersi la voce e conquistare l’occhio della macchina da presa, così da cominciare a raccontarsi, a raccontare il proprio dolore. Le loro vite non si incastrano, ma sanno ascoltarsi a vicenda.
Nell’oceano del tempo che va materializzandosi in scena, la vita fugge veloce al galoppo. Alcuni attori sono scogli fermi, immobili, ma consumati dal movimento perpetuo delle onde che vi si infrangono. Altri sono l’acqua, l’eterno movimento, il continuo cambiamento di se stessi. In questo flusso indefinito di cose, mi è venuto spontaneo chiedermi a quale punto della vita mi trovassi. Dopo aver visto morire Johanna, c’è stata una battuta d’arresto, una pausa. Tutto ha preso una consistenza diversa, anche la mia posizione da spettatrice. Mi ha letteralmente stesa, spenta, trascinata in basso.
Un momento di respiro, di riflessione, però, c’è stato. Quando le pareti della casa si sono staccate dal pavimento scenico, è venuta fuori una luce fredda, forte, che ci ha illuminati e ci ha chiamati in causa, mentre un fumo bianco si disperdeva per tutta la sala. Lì mi è sembrato di sentire l’odore di incenso e mi sono sentita dentro una ritualità collettiva e condivisa. È durato un attimo, ma è stato sacro.
In questo senso Grief & Beauty è insieme un viaggio solitario e universale. Inconsapevolmente ci si prepara a un rito di passaggio: si entra come gruppo nella fase liminale, dove tutto è sospeso, i pensieri, la condizione sociale, per poi uscirne cambiati, spaesati, isolati, perché ognuno affronta diversamente il presente, la perdita di qualcuno, il futuro.
Grief & Beauty parla di vita e di morte che a un certo punto, inevitabilmente, si incontrano, si scontrano, fino a contaminarsi, fino a fermarsi, a spegnersi per sempre. A questo punto, tra la pancia e la gola si crea un abisso che divora, ma che allo stesso tempo culla. È difficile morire, ma difficile è anche il mestiere di chi accompagna chi muore. Abitare la storia di Grief & Beauty è stata un’operazione massacrante, ma capace di mostrare, ancora una volta, quanto il teatro abbia a che fare con la vita.
Elementi di pregio: La responsabilità di portare una morte reale, non neutrale, come l’eutanasia, in scena.
Limiti: La sensazione che si ha a spettacolo finito è quella di una mancanza di spirito, una mancanza di “decollo”. Alla morte di Johanna in scena, picco massimo di pathos a livello narrativo, non corrisponde alcun avvenimento scenico di pari intensità. Piuttosto, lo spettacolo sembra innescare una riflessione continua, un’elucubrazione senza climax.
Visto a Roma Europa Festival, il 29 settembre 2022.
Grief & Beauty
Regia: Milo Rau
Testo: Milo Rau & Ensemble
Performance: Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura, Gustaaf Smans, Johanna B. (in video)
Drammaturgia: Carmen Hornbostel
Coach & Dramaturgical Collaborator: Peter Seynaeve
Scena e Costumi: Barbara Vandendriessche
Composizione: Elia Rediger
Musica dal vivo: Clémence Clarysse
Camera & Video Design: Moritz Von Dungern
Light Design: Dennis Diels
Assistente alla regia: Katelijne Laevens
Direttore della produzione tecnica: Oliver Houttekiet
Direttore di produzione: Greet Prové
Grief & Beauty è una produzione dell’NTGent in coproduzione con Tandem Sceène Nationale Arras – Douai, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt, Romaeuropa Festival, Teatro Nazionale di Genova
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