Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sul sito della Biennale Teatro 2022.
Matteo Valentini
Come accadeva nel teatro classico, anche ne La foresta di Olmo Missaglia la parola è affidata innanzitutto al Prologo. Un’attrice, dalla leggera inflessione francese, suggerisce l’argomento della pièce: evoca la dicotomia tra i suoi ambienti, la città e la foresta, l’urbano e il selvatico, il conosciuto e l’ignoto; mostra la soglia che le connette; fa largo ai personaggi che vi si avvicenderanno. Un runner occasionale, un impiegato stressato e una cantante in cerca di una parte avviluppano i propri percorsi fino a trovarsi ai confini di un bosco. Nella Commedia dantesca, in Cappuccetto rosso, nel Signore degli anelli, così come in molte altre opere narrative, la foresta è luogo di erranza e smarrimento, ma anche di presa di coscienza, superamento delle sfide e, infine, di rinnovamento.
Con l’abbandono della città, le storie dei personaggi di Missaglia deflagrano in una costellazione di brevi scene informate da una consumata estetica pop: le citazioni derivano quasi totalmente da film cult degli anni Ottanta-Novanta e dipendono da una logica connessa all’autorevolezza, tra gli altri, di grandi registi come Quentin Tarantino, Ridley Scott e Robert Zemeckis. Il riferimento non permette alcuna risignificazione del modello, ma si limita a una sua frettolosa imitazione. Allo stesso modo, i protagonisti non cercano di disconoscere o rinnovare il passato, ma vi si rifugiano terrorizzati. Le crisi e le ansie personali, economiche, famigliari impediscono loro di immaginare qualsiasi possibilità di futuro e li respingono nei periodi lieti dell’infanzia, al sapore dei ghiaccioli a bordo piscina, alle corse in bicicletta per evitare un temporale.
Essi appaiono, così, incapaci di superare il groviglio d’alberi in cui si trovano, e, asserragliati dal buio, si stringono gli uni contro gli altri, angosciati in attesa dell’alba.
Vittoria Biasiucci
Una superficie bianca, tre sedie blu disposte sul lato destro della scena e la stampa di un dettaglio pittorico da The remains of an archipelago dell'artista trentina Veronica Giovanelli, che ci proietta in un’atmosfera luminosa, ma ovattata, evocativa di “terre emerse e sommerse, con chiazze di colore”. Dietro, si celano quattro giovani interpreti: Lea Chanteau, Michele de Luca, Mizuki Kondo, Romain Pigneul, alla ricerca di un immaginario comune. Non hanno una meta precisa. Si scontrano, provando a definire il proprio cammino. Si incontrano, generando un coro a più voci. Un vuoto interiore attanaglia le loro vite. Sono lì, in un paesaggio essenziale, una vasta zona incolta, una terra di mezzo: Una foresta, come l'ha definita il regista vincitore dello scorso bando Biennale College Teatro - Registi Under 35, Olmo Missaglia.
Lo spazio è deputato all’artificio e si impone come dispositivo di delimitazione e demarcazione. Si ritrovano soli. È come se dovessero perseguire una sfida comune: essere all’altezza delle aspettative che la società impone. Brancolano, e, si chiedono: “hai mai l’impressione di non avere una storia tutta tua?”. Per ricucire le loro ferite, ricorrono anche a pensieri di grandi teorici, spaziando da Stoppard a Pasolini alla poetessa francese Annie Le Brun, stabilendo un ordine nella loro confusione, spingendosi a favore di un nuovo alfabeto, abitato da lemmi sconosciuti. Le voci si sovrastano generando caos, una reazione in grado di descrivere il loro tormento interno, cadenzandolo.
A un tratto, nuove traiettorie in quest’urlo di malessere generazionale condiviso sono state tracciate. Lo spazio non è più bianco. Sono state disegnate più vie: file di Haribo senza una fine, cartoni di pizza giacciono sul pavimento lasciando una traccia, un mazzo di fiori a terra segna un punto di arrivo; un vecchio k-way resta sospeso, non si ha più la necessità di indossarlo, ma avvolgerà un corvo, caduto in picchiata in scena, generando stupore, e subito dopo silenzio. Si evade, svestendosi, alla ricerca di senso, declinando il mondo reale in un immaginario che appaga. La realtà non sembra più impropria, diviene set privilegiato dove i protagonisti possono immaginare e inventare il proprio mondo.
La foresta
Visto alla Biennale Teatro 2022
Vincitore Biennale college teatro Registi under 35 (2021-2022)
Foto tratte dal profilo Facebook della Biennale Teatro
Un progetto di Olmo Missaglia
Interpretazione e co-scrittura Lea Chanteau, Michele De Luca, Mizuki Kondo, Romain Pigneul
Drammaturgia e collaborazione artistica Médéa Anselin
Scene di Justine Bougerol
Disegno luci di Sibylle Cabello
Sostegni e residenze MoDul/bolognaprocess asbl, Théâtre des Tanneurs, Le BAMP, Centre Culturel Wolubilis, COCOF Aide à la promotion à l’étranger
Dipinto di Veronica De Giovanelli (stampa di un dettaglio di The remains of an archipelago, 2017)
Produzione La Biennale di Venezia
Tutor del progetto Stefano Ricci e Gianni Forte
Con il supporto di Modul/bolognaprocess asbl, Théâtre des tanneurs, Le bamp, Centre culturel wolubilis, Cocof aide à la promotion, À l’étranger
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