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Eva Olcese - Matteo Valentini

La stanza dei giochi | giochi da grandi


nella fotografia di Jacopo Niccoli sono presenti gli attori-bambini della prima rappresentazione, Elio Ciolfi e Emma Frediani

“Io però l’ho imparata in minor tempo, la parte” puntualizza la ragazzina in scena. Undici e tredici anni? Se non ricordo male, mi sembra fossero proprio queste le età dei due interpreti, a metà tra bambini e adolescenti, che per 40 minuti hanno incantato la platea del Teatro auditorium Stradanuova. Non li invidio, lì con i loro microfoni incollati alla guancia, che si fermano altri dieci minuti per rispondere alle domande del pubblico. Eppure sembrano così a loro agio, sotto il tiro degli occhi curiosi di un pubblico di grandi e piccini, purtroppo ancora non abbastanza vario. La categoria teatro ragazzi è ignorata da molti tanto da sembrare fonte di comune spavento: prima che le luci si riaccendano sappiamo già che saremo una delle poche coppie senza figli a carico (anzi, ad esser precisi, la maggior parte dei bambini tra il pubblico è accompagnata solo dalla propria madre). Dei limiti di questa definizione avevamo già parlato nella recensione di Hans e Gret della scorsa stagione: il nostro Milella parlava di non genere e auspicava il superamento delle fasce d’età in una futura (utopistica) stagione teatrale. Perché come lo spettacolo di Emma Dante così anche La stanza dei giochi, attraverso la sottile drammaturgia di Marta Abate e Michelangelo Frola, è stato in grado di parlare diverse lingue: un contratto che diventa un ricatto, la divisione del peluche preferito a settimane alterne, l’allontanarsi, ma non senza aver prima infastidito l’altro, sono solo alcuni degli schemi di un gioco d’infanzia che si sono trasformati limpidamente davanti ai nostri occhi nel linguaggio dei litigi dei grandi.

Questa colonizzazione del linguaggio, della gestualità e dei desideri da parte degli adulti è resa evidente fin da quando le luci in scena illuminano un'asse da stiro-giocattolo, con tanto di ferro, un piccolo aspirapolvere a pile, un trattore a pedali. Il fatto stesso di replicare in forma ridotta una casa ispirata idealmente a quella dei propri genitori, casus belli dell'intera vicenda, riassume questa infiltrazione adulta nel territorio infantile, che genera progressivamente una sovrapposizione di ruoli dal momento in cui l'autorità genitoriale non interviene mai né viene mai reclamata: i ragazzi sono soli nella propria stanza, non abbandonati, ma sinistramente autonomi.

Forse il fatto che, anche nel quotidiano, gli oggetti di divertimento dei bambini siano simili agli oggetti d'uso dei grandi, ma inutilizzabili e inerti, parla dell'atteggiamento del pubblico nei confronti del teatro ragazzi, generalmente percepito come un teatro scimmiottato, un teatro-giocattolo.

Senz'altro condizionati da questa visione quasi paternalistica, viene da chiedersi quanto siano consci Lucia e Francesco dei sistemi di relazioni che stanno mettendo in scena con le loro frasi che, ambiguamente profonde, potrebbero adattarsi a un qualsiasi equilibrio incrinato (capo/impiegato, moglie/marito e così via): le campiture di colore di una scenografia così scura e delimitata dagli oggetti presenti in scena sfumano e la memoria personale, allacciata da frasi che simili hanno già risuonato in ognuno di noi, crea scenari che si sovrappongono a quello del semplice litigio per una casa giocattolo, divenuta scandaglio nel privato dello spettatore.

Volano frasi pesanti come macigni nello spettacolo vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014, ma lo fanno con la leggerezza della voce di una bambina che fa fatica a dividere con il fratellino lo spazio di una casetta, il suo regalo di compleanno. Le parole solo a tratti appaiono calcate, ma i gesti sono semplici e chiari, lontani dal didascalico uso del corpo che assumono molti attori in accademia: Lucia Oca e Francesco Scavo sono già attori, ma sul palco non dimenticano di essere bambini, di essere Lucia e 'Franci'. E noi che talvolta dimentichiamo la potenza del teatro, ci sentiamo piccoli di fronte allo stupore di una bambina di tre anni, davanti a noi nel pubblico, nella scoperta dei cambi di scena, del tempo e del montaggio teatrale. “Oh, luce spenta”. Oh, ora i bambini hanno smesso di litigare. Oh, Lucia ha aperto la sua casetta. Oh, la casetta non è più importante.

Elementi di pregio: L'estrema attenzione degli interpreti nel presentare uno spettacolo con così tanti e così sottili piani di lettura. Il coraggio del Teatro di Stradanuova nello scommettere su questa operazione.

Limiti: Indipendenti dallo spettacolo, la scarsa varietà del pubblico e il suo orientamento di genere quasi unilaterale.

Visto il 26/10/2019, al teatro auditorium Stradanuova

La stanza dei giochi

Con Lucia Oca e Francesco Scavo Regia e drammaturgia Marta Abate e Michelangelo Frola Produzione ScenaMadre – Gli Scarti

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oca, oche, critica teatrale
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