Tratto dall'omonimo racconto di Ernst Hoffman, Lo Schiaccianoci è uno dei balletti più celebri di tutti i tempi. Capace tuttora di richiamare il grande pubblico, è stata forse la sua fama ad attrarre Amedeo Amodio ed Emanuele Luzzati nel 1989, anno in cui decisero di riformare il balletto ricostruendo il grande classico con una sensibilità tutta novecentesca.
A distanza di quasi trent'anni, dieci dalla scomparsa di Luzzati, il teatro Carlo Felice accoglie lo spettacolo definito “lo Schiaccianoci italiano più bello”*, ponendo nuovamente lo spettatore a confronto con la sintesi che lo rese famoso: la tradizione, ovvero i codici intatti della danza classica, e la performance, ovvero il mimo e le ombre cinesi (ideate da Teatro Gioco Vita di Piacenza).
In mano ad Amodio e Luzzati una delle più esemplari favole romantiche sul sogno viene trasformata integralmente in un paesaggio surrealista alla Lewis Carroll. La protagonista Clara-Alice diventa la misura di tutto il lavoro drammaturgico: adottando il suo punto di vista, i nonni si trasformano in poltrone, il padrino Drosselmeier in un mago e, come nell'originale, i giocattoli prendono vita. Si potrebbe approfondire questo approccio tematico constatando, come fa Eugenio Barba, che «ciò che fa infantile il disegno dei bambini non è il loro carattere approssimativo o “primitivo”, ma la presenza di una sola logica»**. La regia usa i mezzi misteriosi dell'infanzia a discapito del senso, costruendo, come in un disegno infantile, una porta verso un altro mondo, simile per forza e specificità a quello del sogno - si veda, ad esempio, la destrutturazione del linguaggio dei topi.
Lo Schiaccianoci di Amodio/Luzzati mescola stili e culture diverse, tradizione e innovazione, un background complesso da cui emerge l'ambizione di creare il nuovo attraverso il classico: l'opera conserva musiche e spirito onirico del capolavoro Cajkovskij/Petipa, ma modifica l'approccio alla scena e alla scenografia; ricerca una vicinanza emotiva con lo spettatore con immagini e coreografie tutt'altro che astratte, ma non rinuncia all'estetica del balletto classico e al virtuosismo, uno dei maggiori indici di distanza tra chi fa e chi guarda.
Come spesso avviene anche alle migliori sintesi, Lo Schiaccianoci a volte fatica a trovare la propria strada: se nel primo atto, infatti, il balletto sembra puntare sulla non continuità tra danza classica e performance, nel secondo atto si avverte una frattura e i codici riemergono con prepotenza per far largo a una interminabile serie di divertissement di sapore ottocentesco.
In definitiva si afferma, nonostante la mescolanza di stili, la priorità del balletto classico, che scopre, a distanza di cent'anni, di sentirsi ancora a casa in un teatro lirico. In questa dinamica, ovviamente, non può non giocare un importante ruolo l'aspettativa del pubblico del balletto classico; tuttavia va constatato che se un genere tradizionale continua a esistere e a emozionare, il motivo giace probabilmente nella sua capacità di aggiornarsi.
In questo caso, lo spettatore del Carlo Felice può ancora testimoniare che la riforma è avvenuta e continua ad avvenire ogni giorno.
** Eugenio Barba, La canoa di carta, Il Mulino, Bologna 1993, p. 141
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Balletto in due atti di Amedeo Amodio
dal racconto di E.T.A. HOFFMANN Schiaccianoci e il Re dei Topi
coreografia e regia Amedeo Amodio
direttore Alessandro Ferrari
scene e costumi Emanuele Luzzati
ideazione ombre Teatro Gioco Vita
realizzazione ombre L’Asina sull’Isola
voce Gabriella Bartolomei
assistente alla coreografia Stefania Di Cosmo
luci Marco Policastro
produzione Daniele Cipriani Entertainment
solisti e corpo di ballo Daniele Cipriani Entertainment
primi ballerini: Anbeta Toromani e Alessandro Macario
Orchestra e Coro di Voci Bianche del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro di Voci Bianche Gino Tanasini
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