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Marco Gandolfi

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte | Indagine su una malattia


La principale difficoltà nell'adattamento del romanzo di Mark Hammond sta nel decidere come rappresentare la malattia. Il protagonista Christopher ha quello che probabilmente si può definire un disturbo dello spettro autistico, male misterioso, intrattabile e incomprensibile sotto molti aspetti. Dunque perfetto candidato per essere esaminato attraverso la lente artistica e, date le connessioni di questa malattia con una certa forma di intelligenza e difficoltà emotiva, ancor più adatta a essere espressa, da chi ne soffre, attraverso tali mezzi. Questo è esattamente quello che avviene nella messinscena, ipoteticamente tratta dal libro stesso che il protagonista sta scrivendo sulla sua vicenda. La storia, a metà strada tra il giallo, il romanzo di formazione e il dramma da camera, è incentrata sulle barriere emotive che impediscono a Christopher una vita "normale". Normalità che ovviamente sfugge non solo a lui, ma in fondo a ogni personaggio del dramma, che illuminato da uno sguardo analitico e indagatore rivela più o meno grandi barriere e problematiche irrisolte. Merito della recitazione di Daniele Fedeli e della regia è di dare una interpretazione non reticente della malattia, tesa a evitare ogni caratterizzazione accattivante, per quanto possibile, e sempre ben distante dalla riduzione macchiettistica. Così la splendida scena rivelatrice del mistero circa la madre del protagonista può essere presa a testamento di questa impostazione: l'estrema reazione fisica con cui Christopher reagisce alla scoperta delle lettere di sua madre è una finestra spalancata sul suo mondo emotivo sfuggente e muto. La costruzione scenografica in cui il corpo impazzito del ragazzo ruota come una lancetta senza controllo all'interno del cerchio delle lettere disposte meticolosamente, ha il dono di una sintesi scenica potente e ricercata. Lo snodo centrale è preceduto da una sorta di indagine adolescenziale sulle circostanze della morte del cane di una vicina e seguito dalla ricerca di una figura materna sempre lontana e sfuggente. Si tratta in fondo di uno scavo nella natura degli affetti prossimi, e quindi di una ricerca identitaria. Queste esplorazioni sono comunque meno convincenti rispetto al nudo dato emotivo che emerge dal vivere del protagonista: le traversie psicologiche per superare un "semplice" viaggio in metropolitana sono rese sagacemente attraverso una scenografia astratta che si ricostruisce a ogni passo, riproducendo un ambiente straniante, incomprensibile, probabilmente simile a quello percepito dal ragazzo. I tre grandi schermi che delimitano il palcoscenico mostrano spesso le sottolineature di quanto avviene in scena e quindi le parole e i pensieri di Christopher. Dopo gli applausi, una coda: viene spiegato al pubblico come il protagonista abbia risposto alla più difficile domanda dell'esame di matematica brillantemente superato. Quello che dovrebbe essere un lieto fine soddisfacente è forse il momento più scontato dello spettacolo, perché a ben vedere il più grande successo di Christopher è stato comprare un biglietto della metropolitana. Elementi di pregio: la sensibile e accorta rappresentazione della malattia. Limiti: personaggi secondari poco sviluppati. di Simon Stephens dal romanzo di Mark Haddon traduzione di Emanuele Aldrovandi regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani scene di Andrea Taddei costumi e disegni di Ferdinando Bruni maschere Saverio Assumma musiche originali Teho Teardo movimenti scenici Riccardo Olivier e Chiara Ameglio di Fattoria Vittadini video di Francesco Frongia luci Nando Frigerio suono Giuseppe Marzoli con Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Alice Redini, Debora Zuin, Nicola Stravalaci, Daniele Fedeli, Davide Lorino, Marco Bonadei, Alessandro Mor assistente alla regia Alessandro Frigerio assistente scene costumi Roberta Monopoli assistenti tirocinanti Accademia di Brera scene-costumi Luna Aulehla, Silvia Pagano, Leonardo Locchi coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino

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