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Marco Gandolfi

M come Méliès | Dell'illusione


Una scena da M come Méliès

L'idea che sta alla base di M come Méliès può essere declinata per successivi livelli di analisi: al grado zero c'è la soddisfacente e raffinata celebrazione di un pioniere del cinema, George Méliès. Facendo un passo di approfondimento - esplicito nella messa in scena - c'è la piena coerenza delle tre carriere intraprese dall'artista: illusionismo, teatro e cinema. Ma anche questa interpretazione rimane sulla superficie, così come l'ulteriore passaggio di ascrivere alla fervida fantasia sognatrice del giovane Méliès, lasciata libera di esprimersi, gli strabilianti risultati nel campo della nuova arte cinematografica. La chiave interpretativa si mostra circa a metà della rappresentazione, in quello che considero un vero colpo di genio. Poco dopo aver terminato la rappresentazione di un quadro teatrale ideato dallo stesso Méliès, nella forma di teatro nel teatro usata per percorrere un tratto della carriera del cineasta, gli attori della compagnia francese scendono dal secondo palcoscenico, svestono i ruoli che stavano interpretando e tornano ad essere sé stessi, o semplicemente gli attori che interpretano M come Méliès. Si rivolgono quindi al pubblico in un italiano molto stentato, dicendo di volersi scattare qualche selfie, per poi pubblicarlo su Instagram o Facebook. Dopo questo scarto la rappresentazione riprende come nulla fosse. Quello che segue è la messa in scena delle riprese cinematografiche di Méliès, realizzata con un gusto e una sapienza raffinatissimi. Ma il senso non è più lo stesso: perché non basta svelare l'illusorietà della macchina cinematografica o teatrale per evocarne il potere; bisogna mostrare il desiderio dello spettatore di credere a questa seduzione dell'irreale, per arrivare quindi a chiedersi cosa sia il reale. La fascinazione umana per la narrazione è incarnata proprio in quello che accade dopo l'episodio del selfie: un moltiplicarsi all'infinito di piani illusori, di tecniche di finzione, i ferri del mestiere di Méliès messi a nudo, e tanto più espliciti tanto più creduti e voluti dagli spettatori. Tutto lo spettacolo è giocato sull'idea del doppio, se non di molteplice, a partire dal sogno del giovane Méliès di viaggiare tra gli astri e colpire la Luna con un proiettile/navicella. La celeberrima immagine, tratta da Il Viaggio nella Luna del 1902, apre e chiude la rappresentazione, anche se è solo evocata e mai mostrata esplicitamente. Viene invece mostrato spesso il burattino, la copia di Méliès, di nuovo in un gioco di specchi: come si fa teatro nel teatro, i corpi si moltiplicano nelle immagini sovraimpresse ai corpi degli attori, nei simulacri illusionisti. L'ossessione di Méliès per le invenzioni e per la realizzazione pratica dei suoi sogni illusionisti - calcola esattamente quando sparare il proiettile per colpire, lungo il tragitto più breve, il nostro satellite - è figlia di un tempo dall'illimitato ottimismo tecnico e scientifico. Uno dei pregi della messa in scena è quello di tradurre questa entusiasta fiducia sia attraverso il proliferare di una vertiginosa oggettistica di scena, sia con un brioso entusiasmo nella recitazione della giovane compagnia francese, tra cui spicca l'ottima Alicia Devidal. La complessa scenografia fa da sfondo all'idea di teatro nel teatro, e cinema nel teatro. Si assiste al moltiplicarsi del palcoscenico, alla sua trasformazione senza stacchi, al portare in primo piano la macchina dell'illusione, come nella bella scena in cui gli effetti sonori di una scena acquatica sono mostrati nella loro creazione tecnica. Il compito della regia è quello di tenere a bada una sovrabbondanza di invenzione e fantasia, nello spirito di Méliès. Ci riesce con un discreto successo, anche nelle situazioni più caotiche con buone idee e gusto. Leggere questa celebrazione di Méliès solo come un inno a credere ai sogni e provare a realizzarli, sarebbe un tradimento delle sue ambizioni. Perché è sicuramente questo, ma è anche una riflessione raffinata e divertente, nel miglior significato della parola, di cosa sia dare vita a un mondo d'invenzione e donarlo all'umanità. Elementi di pregio: il brioso assecondare l'illimitata fantasia di Méliès con tutti i mezzi che il teatro mette a disposizione; la leggerezza del tocco e la profondità di analisi. Limiti: ritmo della narrazione troppo uniformemente accelerato. Produzione Teatro Stabile di Genova e Comédie de Caen Regia Élise Vigier e Marcial Di Fonzo Bo Interpreti Arthur Amard Lou Chrétien-Février Alicia Devidal Simon Terrenoire Elsa Verdon Scena Marcial Di Fonzo Bo Élise Vigier Patrick Demière Alexis Claire Catherine Rankl Costumi Pierre Canitrot Musica originale Étienne Bonhomme con la collaborazione di Sophie Bissantz

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oca, oche, critica teatrale
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