«Sconvolgere il sistema che ci ha generato» è l’obiettivo dichiarato della nuova produzione di Balletto Civile, in vista di «un teatro totale che si destreggia tra un discorso danzato e uno parlato cercando una terza via: la visione». Perseguendo questo scopo, Madre rifiuta programmaticamente ogni struttura narrativa, concettuale o interpretativa, si smembra in una miriade di quadri ad alta tensione ritmica, mischia tra loro diversi linguaggi - come usuale negli spettacoli di Balletto Civile -, per arrivare a qualcosa, uno studio, di cui difficilmente si riesce a intuire la direzione.
Quello che viene spontaneo chiedersi è: perché riesce così antipatica l’idea di una narrazione? Intendendo con questo termine non l’ordinato libretto da balletto classico, invocando non per forza una linearità e scansione degli eventi da “teatro borghese”, vecchia maniera. Piuttosto rifacendosi all’idea di un’omogeneità concettuale e visionaria di fondo che possa legare in modo efficace tutto questo magmatico pulsare, tutti questi slanci di energia notevoli ma che poco riescono a scalfire la superficie contro cui si scontrano.
Less is more: in qualche caso, basta una sola pietra ben lanciata a scatenare la sommossa, a innestare il conato rivoluzionario, invece di tante pietruzze scagliate in giro. La visione di Madre, che si vorrebbe potente invettiva (contro cosa non si è ben capito, la società tutta? La forma tradizionale del balletto e, più in generale, dell’azione teatrale? Certi dogmi, certe verità tramandate culturalmente e storicamente? Gli accenni, anche abbastanza espliciti, rimangono semanticamente isolati) finisce per appiattirsi lungo un orizzonte di programmata e ben calibrata polemica, autoreferenziale e fine a se stessa, non riuscendo a trasmettere l’esigenza di una - invisibile - rivoluzione. Non percependo climax è difficile lasciarsi travolgere da un atto di ribellione che sembra estraneo anche a chi danza sul palco: lo spettacolo si muove per fotogrammi montati orizzontalmente, stanze separate l’una dall’altra, efficaci in qualche caso, ma che si dissolvono nella totale evanescenza di un - invisibile - progetto globale. Il riferimento stesso alla genitorialità per eccellenza - la Madre, figura archetipica senza tempo - così come quello alla rivoluzione spingerebbero piuttosto verso una dimensione verticale, costruita vertiginosamente su più livelli, creando forse così quell’energia in potenza sfruttabile con più convinzione dagli interpreti, i quali rimangono senza una voce propria, senza istinto e urgenza nel rimettere in discussione non si sa bene quale fantasma. Che sia di corpo politico o di corpo materno, è un primo studio orfano quello che ci si presenta davanti: un reale intento narrativo, condivisibile con noi, occhio esterno, avrebbe potuto essere la miccia giusta per legare tutte le proposte, amalgamandole in una miscela esplosiva.
Invece, con la sua cripticità furibonda e sorretta solo dalle vaghe dichiarazioni d’intenti esposte sia sul palcoscenico che nella nota di regia - in cui principalmente si informa non sullo studio in sé ma sulla sua prossima continuazione -, Madre deprime l’interesse del pubblico in sala e richiama più un’azione carbonara o un tafferuglio che una rivoluzione.
Elementi di pregio: la continua variazione di quadri e l’abilità tecnica dei ballerini mantengono alti il ritmo e l’attenzione del pubblico.
Limiti: gli obiettivi del progetto e l’orizzonte di senso appaiono vaghi e poco consistenti.
Visto l’1 dicembre 2018 al Teatro della Tosse
ideazione, coreografia e regia Michela Lucenti
creato e danzato con Balletto Civile
produzione Balletto Civile e Fondazione Luzzati- Teatro della Tosse
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