La piccola e preziosa sala del Teatro dell'Altrove ha ospitato nel weekend del 2-3 febbraio uno spettacolo, piccolo e prezioso. L'Orfeo ed Euridice a cui abbiamo assistito, una revisione del mito firmata da César Brie, abile ed essenziale montatore di fotogrammi in movimento, ci è stato donato dalla genuinità e delicatezza di Giacomo Ferraù e Giulia Viana, i due attori che danno vita all’emergente Compagnia Eco di fondo.
Gli attori sono stati in grado di sublimare in un superlativo atto poetico tematiche quali il testamento biologico, l'eutanasia e l'accanimento terapeutico. Benché in Italia ora il tema, a lungo sterilmente dibattuto o ignorato, abbia ricevuto le dovute attenzioni e concreti riscontri legali (la legge sul testamento biologico è stata approvata dal Senato il 14 dicembre ed è entrata in vigore il 31 gennaio 2018), lo spettacolo si fa catarsi collettiva nell'espiazione di un dolore senza tempo e universale: la morte di una persona amata. Il fatto che nel caso dei due protagonisti, Giulia e Giacomo, si insinui il tragico limbo del coma, dove la persona – in questo caso Giulia, novella Euridice vittima di un incidente d'auto – è né morta né viva, permette di esasperare la riflessione riguardo la perdita, l'abbandono, la sopravvivenza frustrata della memoria.
Avere il coraggio di scegliere quali sono gli atti propri della vita, distinguendoli con lucidità straziante da quelli di una quasi morte, è qualcosa che può apparire come un deliberato assassinio della speranza: tuttavia nello spettacolo si eleva a supremo atto d'amore ovvero quello di rendere giustizia ad una promessa fatta a Giulia quando era ancora in vita, “non permettere che io sia costretta a sopravvivere in quelle condizioni”. E Giacomo/Orfeo si impegna con tutto se stesso per tenere vivo un contatto con la sua Euridice, presente con il corpo ma assente come spirito, e al tempo stesso smuovere le coscienze medico-legali affinché permettano alla giovane donna, la cui vita non può essere identificata unicamente con il suo stato biologico, di morire definitivamente permettendone così, dolce-amaro ossimoro, la resurrezione.
Lo spettacolo, seppur denso di riflessioni, non scade mai in arzigogolato intellettualismo né cede alla tentazione di farsi ridondante arringa: l'uso totalizzante e finemente disciplinato del corpo dei protagonisti è in grado di emozionare con una storia struggente e mai patetica, in equilibrio tra realismo e metafora, dove l'urgenza del racconto è restituita e testimoniata da immagini fisiche esatte, veri e propri quadri viventi in cui il sentimento viene materializzato in forme di una bellezza che definirei classica nella sua abbagliante verità. L'utilizzo audace ed evocativo degli oggetti scenici permette di inquadrare la vicenda scandendone - con agilità e un senso tangibile di magia – tempi e luoghi, muovendo profondamente a commozione il pubblico: una forza dirompente si sprigiona da questo “teatro povero”, dove “la bellezza non esiste che in frammenti” ed è quello stesso principio labaniano del pensare in termini di movimento a dirigere con intelligenza intuitiva gli attori sul palco.
Dobbiamo ribaltare il mito e pensare ad un Orfeo che si volta a perdere la sua sposa non per debolezza, non per egoismo, e neppure per impazienza. È un Orfeo coraggioso colui che nella rinuncia rispetta profondamente la vita, onorando il suo amore attraverso una profonda compassione. E voglio immaginarla così Euridice, felice, in grado finalmente di ri-appartenergli integra, sorridente, come nella prima foto scattata insieme.
Punti di forza: immagini metaforiche potenti, di grande semplicità ed impatto; attori straordinari e interamente coinvolti nella vicenda narrata.
Limiti: Forse si potrebbe andare verso ad un uso degli oggetti ancora più ridotto ed essenziale.
testo e regia César Brie
in scena Giacomo Ferraù e Giulia Viana
musiche Pietro Traldi
costumi Anna Cavaliere
disegno luci Sergio Taddo Taddei
produzione Teatro Presente / Eco di fondo
uno spettacolo di Teatro Presente e di Eco di fondo
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