"Uno, nessuno, centomila" - Marta Cristofanini
Ebbi l'occasione di assistere nel 2017 alla prima rappresentazione dell'Orfeo made in Tosse/Balletto Civile quando fu presentato nella sua veste originaria negli spazi mastodontici della Fiera del Mare. Una sfida, vinta: la messinscena traboccava di una vitalità elettrizzante nella sua buia malinconia, mistura antitetica sposata alla perfezione con la scelta tematica di ibridare il mito greco al folklore messicano, consegnandolo ai colori squillanti e alle morfologie grottesche del paese “vida y muerte” per eccellenza.
Il nostro fu un vagabondare all'interno di un labirinto spersonalizzante e dimenticato, obitorio, ospedale psichiatrico, regno dell'Ade: contenitore suggestivo adatto quindi a ricreare un simbolico viaggio negli Inferi alla ricerca di una verità impossibile perché relativa.
Tutto ciò viene a perdersi nella seppur sempre seducente Apricale, che proprio quest'anno festeggia i suoi 30 anni di teatro sotto le stelle. Rimane senza dubbio uno spettacolo da vedere - o rivedere, come nel mio caso – per la ricchezza dei suoi spunti di riflessione riguardo la narrazione dell'identità: siamo ciò che viene inquadrato e riflesso da una determinata lente in un determinato attimo, frutto incrociato di fasci luminosi destinati ad accecare, confondere e svanire nell'abbaglio, filtrati da parole altrui come effimere ricostruzioni post mortem. L'unica versione “assente” è proprio quella del protagonista, Orfeo, fantasmizzato dalla leggenda dei suoi stessi canti.
Peccato che per motivi di spazio scenico, la danza venga un po' sacrificata; ma nelle isole coreografiche a cui è riuscita comunque a farci approdare, brucia come quel morso di vipera che uccise Euridice, espiando febbrilmente quello che i monologhi dettano attraverso un logos più asciutto, edulcorando così un racconto che nella versione precedente risultava sicuramente più difficile da metabolizzare ma a maggior impatto emotivo, data l'immersione completa e profonda a cui il pubblico era sottoposto.
La forma bacchica della danza rimane la più adatta per uno spettacolo che, in sintonia con il Giorno dei Morti messicano, banchetta sulle ossa di chi se ne è andato come forma di omaggio più sentita. Ed è così che lo smembramento “pop” di Orfeo diventa celebrazione perversa di morte e, al tempo stesso, famelica danza di vita.
Da spettacolo a esperienza - Matteo Valentini
In uno spettacolo itinerante come Orfeo Rave, si palesa la responsabilità biforcuta che sta alla base del teatro: quella di orientare lo sguardo altrui e il proprio. Lo spettatore, scrollato via dalla poltrona, può esercitare le proprie possibilità con maggiore scioltezza, ma restando inevitabilmente all'interno del percorso fisico ed estetico di chi ha pensato e realizzato lo spettacolo. Si manifestava su questo livello, nel settembre 2018, una delle principali carenze di Axto, sempre figlio della collaborazione tra Teatro della Tosse e Balletto Civile: un inquietante mistero avvolgeva lo spettatore nell'attraversamento di Sala Campana e dei camerini del Teatro della Tosse, per poi abbandonarlo una volta arrivato in Sala Trionfo, in attesa che lo spettacolo vero e proprio iniziasse. I dieci minuti passati a guardare il palcoscenico illuminato e vuoto lo decontestualizzavano, facendolo riemergere da quell'atmosfera metafisica costruita con cura nel percorso dietro le quinte del teatro.
Contrariamente ad Axto, l'Orfeo Rave visto ad Apricale prescinde da ogni tentativo di immedesimazione e scommette, invece, sul lato performativo del guardare. Lo spettacolo fa a pezzi la vicenda di Orfeo ed Euridice, senza indirizzare cronologicamente i frammenti e senza giustapporli, ma facendone strumenti di un gioco combinatorio che lo spettatore è invitato ad articolare. I quattro gruppi in cui è diviso il pubblico sono guidati tra i personaggi disseminati per il paese da tecnici a tutti gli effetti, con torcia elettrica e uniforme del Teatro, senza nessuna ambientazione o fil rouge scenico al di fuori dei budelli di Apricale, forieri di tempi morti, attese ed errori di percorso: ogni tentativo di immedesimazione nella vicenda narrata è, così, ostacolato, mentre vengono eccitate la concentrazione “performativa” sullo spazio percorso e, conseguentemente, la trasformazione dello spettatore in partecipante consapevole del processo di innesto tra lo spettacolo e il paese. Questo permette di giudicare positivamente quella che si può chiamare “esperienza Orfeo Rave”, nonostante la sovrabbondanza testuale dell’introduzione, a cui rimedia l’abbacinante coreografia di sfondo alle nozze tra Orfeo ed Euridice, e quella canora, espressa negli assoli, rispettivamente rap e soul, di Alessio “Alo” Aronne e Michela Lucenti che sembrano stonare con i momenti corali in cui si inseriscono.
Visto ad Apricale il 5/08/2019
uno spettacolo di Emanuele Conte e Michela Lucenti
testi di Emanuele Conte ed Elisa D'andrea con la collaborazione di Amedeo Romeo
regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti
coreografie Michela Lucenti
impianto scenico Emanuele Conte
costumi Daniela De Blasio maschere Ruben Esposito
luci Andrea Torazza e Matteo Selis
musiche Tiziano Scali e Federico Fantuz
assistente alla regia Alessio Aronne
collaborazione drammaturgica e scenografo assistente Luigi Ferrando
con Michela Lucenti, Sarah Pesca - Euridice
Demian Troiano – Orfeo
Maurizio Camilli – Aristeo
Enrico Campanati – Persefone
Pietro Fabbri – Ermes
Lisa Galantini – Calliope
Susanna Gozzetti – Bacca
Maurizio Lucenti – Ade
Roberto Serpi – Apollo
Graziano Sirressi – Cerbero
con i danzatori di Balletto Civile Emanuela Serra, Alessandro Pallecchi e Giulia Spattini, con i danzatori Marianna Moccia e Paolo Rosini e il rapper Alessio "Alo" Aronne
direttore di scena Roberto D’Aversa
macchinisti Carlo Garrone, Fabrizio Camba, Kyriacos Christou, Amerigo Musi
elettricisti Matteo Selis, Davide Bellavia, Giovanni Coppola
fonici Tiziano Scali, Massimo Calcagno
attrezzista Renza Tarantino
sarta Umberta Burroni
Produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse e Balletto Civile
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