La rivisitazione del classico Prometeo a firma Massimo Luconi sceglie di percorrere la strada di un'attenzione rispettosa al testo tragico, senza particolari invenzioni drammaturgiche. Il cuore scenico della rappresentazione sta nel conflitto dinamico tra l'immobilità di Prometeo e il corteo di visitatori che sfilandogli davanti si preoccupano di evocare il suo scontro con Zeus. Il protagonista è incatenato a una gigantesca maschera arrugginita al centro di una scena che, attraverso i suoi interlocutori, esonda dal palcoscenico per trasferirsi fino alle prime file della platea. Questa scelta, pur niente affatto originale, ha il pregio di trasferire la vicenda da un piano puramente simbolico a quello propriamente mitico, di eventi "divini" che accadono nel reale. La grande scultura ad opera di Moussa Traoré riassume in modo efficace, con il suo arcaico gigantismo, non solo il succitato conflitto dinamico, ma anche - con le sue fattezze di volto indecifrabile e impassibile - il complesso simbolismo dell'opera. Attraverso i dialoghi che i visitatori - Hermes, Oceano, Io - intrattengono con Prometeo si costruisce lentamente un quadro ben più complesso della semplificata versione dell'eroe che sfida Zeus e il suo nuovo ordine. Il protagonista diventa il tormentato alfiere della conoscenza umana non solo in senso progressista o illuminato. I doni di Prometeo all'umanità sono la sapienza, la coscienza di sé e del mondo: doni preziosi simboleggiati dal fuoco ma, come il mirabile uso delle luci di scena lascia intendere con le sue sottolineature, a ogni luce si accompagna un'ombra, la coscienza porta con sé la conoscenza della mortalità e del Destino inevitabile. Così la figura di Prometeo appare più saggia che astuta: non teme il potere di Zeus, perché lo sa costretto dai limiti della Necessità e del Fato. Il Prometeo di Luca Lazzareschi, non solo fisicamente il centro della scena e della rappresentazione, incarna un teatro di parola, essenziale e tendente a una pienezza lavorata per sottrazione, raggiungendo il suo momento più alto nella profezia a Io (un'ottima Alessandra D'Elia). La sua solitudine - titano a metà tra uomini e dei - è simbolicamente evocata dalla disposizione scenica e dalla postura: quando si alzerà libero dalle catene sarà solo per segnalare il compimento del Fato. La scena si richiude, sigillata da immense lastre metalliche, e l'epilogo è affidato ai comprimari, forse agli attori stessi neppure più personaggi: il destino di Prometeo è incerto, lasciato a quattro diverse leggende. Due parlano di oblio e stanchezza perfino per la collera degli dei: che la voce di Eschilo continui ad arrivare ancora a noi è forse la testimonianza più grande del potere della parola qui celebrata. Elementi di pregio: la recitazione di parola di Luca Lazzareschi; scene e luci di grande efficacia. Limiti: qualche caduta di tono nella recitazione dei comprimari. Produzione: Teatro Stabile di Napoli, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia Adattamento e regia: Massimo Luconi Interpreti: Luca Lazzareschi Alessandra D’Elia Flo Gigi Savoia Tonino Taiuti Vittorio Cataldi (fisarmonicista) Scene: Massimo Luconi Costumi: Aurora Damanti Musiche: Mirio Cosottini
Comments