Ogni anno nell’isola di Bali viene inscenato uno spettacolo cerimoniale. Per mesi e mesi i danzatori vi si preparano duramente, adattando le mani, i piedi, i polsi, perfino gli occhi, alla coreografia. Il giorno dello spettacolo, mentre gli spettatori prendono posto all’interno del teatro, i danzatori dietro al sipario si cospargono il viso con svariati colori, ottenendo così una maschera compatta e imperturbabile. Quando lo spettacolo inizia e gli attori cominciano a danzare, il sipario resta abbassato ma, nonostante questo, gli spettatori non smettono di rivolgere gli occhi al palco: che cosa vedono?
Da dietro una coperta che lei stessa sorregge, Daria Deflorian pone questo interrogativo proprio al termine di Reality, lo spettacolo che lei e Antonio Tagliarini scrissero nel 2012 sulla vicenda di Janina Turek, casalinga polacca che dal 1943 al 2000 (anno della sua morte) in 748 quaderni si sforzò di prendere nota, con un procedere clinico e obiettivo fino al paradosso, di ogni avvenimento che intercettasse la sua vita, descrivendo con la stessa mancanza di trasporto, per esempio, il contenuto della colazione del 16 giugno 1957 –«un caffè nero»- e il ritorno del marito da Auschwitz, rubricato come “visita non annunciata” -«visita di Czeslaw Turek (detto Slawek)».
Come già in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni (2013), attraverso un meccanismo metateatrale Deflorian e Tagliarini oltrepassano il dato immediatamente narrativo della vicenda, per interrogarsi da subito sul significato della compulsiva attività di Janina Turek, sul come e sul perché raccontarla a un pubblico. Janina infatti non rivelò mai a nessuno l’esistenza dei suoi quaderni, forse mossa non tanto dalla narcisista esaltazione della propria quotidianità, quanto piuttosto da un’estenuante ricerca di senso all’interno di essa. Reality costruisce con attenzione un suggerimento di drammaturgia intorno a questa struttura, anche riesumando alcune delle cartoline che Janina scriveva a se stessa e nelle quali si concedeva a un’esplicita soggettività: «Quante sono le donne che vivono in attesa, tagliate fuori dal mondo? Vivo, o fingo di vivere? Tutti questi appunti, queste statistiche, non sono solo un modo per ingannarmi? Se smettessi di scrivere, dovrei ritornare a me stessa».
Il minuzioso lavoro d’archivio di Janina rappresenta, oltre a un tentativo di osservarsi da fuori, una continua rielaborazione di sé, all’apparenza così obiettiva da sembrare trasparente, ma per necessità portatrice di ombre, dimenticanze, omissioni; una rielaborazione che, nello sforzo di tramandare o anche solo di fissare la vita, la restituisce diversa. Deflorian e Tagliarini colgono pienamente questa caratteristica deformante della narrazione: «Non è andata così» è la frase pronunciata ogni volta che i due cercano di raccontare la storia di Janina, spingendosi un poco oltre rispetto ai suoi diari e mettendo in atto, quindi, una messa in scena della narrazione, che tradisce e occulta il proprio punto di riferimento.
Da qui la risposta alla domanda che chiude lo spettacolo: che cosa vedono gli spettatori dell’isola di Bali? Esattamente quello che vedono gli spettatori di Reality: il nudo racconto della vita o, più precisamente, il teatro.
Elementi di pregio: la leggera costruzione di un concetto.
Limiti: L’insistenza sui “record” di Janina (4.463 colazioni registrate, 5.387 pranzi, 5.936 cene…) talvolta risulta un’esasperazione dell’esasperazione.
Visto al Teatro Modena il 23 febbraio 2018.
Scritto e ideato da: Deflorian / Tagliarini
Produzione: A.D., Festival Inequilibrio Armunia,ZTL-Pro
Regia e interpretazione: Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
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