Vuoi mettere risorgere?
(Pompeo, Andrea Pazienza)
Mantova appare pacata al mio arrivo. C’è un cielo color carta zucchero e come un velo sopra le cose che le rende rassicuranti. Ancora prima di esservi accolto, il SEGNI New Generations Festival organizzato da Segni d'infanzia e dedicato al teatro ragazzi dagli 1 ai 25 anni, mi calma. Lo fa ancora di più quando incontro chi lo organizza: mi vengono consegnate una precisa tabella di marcia con i rispettivi biglietti, una piantina della città, la guida del festival, una bottiglia di vino, un salame, una consistente quantità di parmigiano. Mi sento estremamente protetto.
A rompere il velo arriva una vecchia conoscenza della Luna nel Pozzo, Alessandro Lucci, qui in collaborazione con la direttrice artistica Cristina Cazzola, che mi strappa dal generoso ufficio accoglienza, mi consegna una bicicletta e mi dice di pedalare finché non trovo un cantiere a bloccarmi la strada: lì sta per iniziare uno spettacolo che devo vedere (e che non figura nella rassicurante tabella di marcia).
Autoritratto in tre atti è lo spettacolo-conferenza scritto e interpretato da Diana Anselmo, performer sordo appartenente ad Al.Di.Qua, associazione di artisti e artiste con disabilità. Sul palco anche un’interprete LISS, che si rivolge a una platea composta in gran parte dalla comunità sordo-muta di Mantova. È uno spettacolo che si regge, forse in modo eccessivamente granitico, su alcune letture sociologiche e su una generalizzata vis polemica, ma da cui comunque emergono spunti interessanti (su tutti, la differenza tra soggetto discriminabile e soggetto discriminato: a seconda del contesto, che sia una spiaggia assolata o la strada di una città, una persona non vedente con indosso un paio di occhiali scuri può essere percepita come uno dei tanti bagnanti o come un soggetto a rischio).
Al momento degli applausi, Anselmo non si ritira dietro le quinte, ma scende dal palco, riceve l’entusiasmo del pubblico, risponde ad alcune domande in maniera informale, senza l’aiuto di moderatori o critici: è un’anatomia post-spettacolo che mi sorprende e di cui sento discutere nello “spuntino critico” organizzato da Segni quella sera stessa, animato da una ventina di adolescenti riuniti intorno a un tavolo che, dopo un percorso di alcune settimane, si ritrovano a Mantova a riflettere, insieme ad artisti e operatori presenti, sulle proposte del festival e, più in generale, sul rapporto tra teatro e nuove generazioni.
Ci si chiede spesso quali siano i limiti di uno spettacolo nello spazio e nel tempo. Se inizi e finisca all’interno della sala teatrale o se non cominci, piuttosto, dalla locandina o dalla chiacchiera che ci spinge a entrarvi. E quanto bisogna scavare nel tempo prima di trovare le fondamenta dello sguardo con cui lo osserviamo? E, se il passato è nel futuro, se i ricordi vengono costantemente rimodellati dalle evenienze e dalle intuizioni quotidiane, quando finiamo di vederlo?
Le domande che nel teatro “per adulti” possono essere scambiate per lambiccamenti – ché il pubblico a una certa ora entra, vede quello che deve vedere, applaude ed esce –, investono la struttura stessa del teatro per l’infanzia. Il tempo che gli artisti dedicano ai loro spettatori dopo la performance è ritenuto fondamentale, per esempio, da Alessandro Lucci, che durante l’incontro lamenta l’assenza di un controllo artistico proprio su questi momenti successivi agli spettacoli: secondo il direttore artistico della Luna nel pozzo, infatti, il confronto di bambini e bambine con quanto hanno appena esperito andrebbe elaborato in chiave drammaturgica e non demandato soltanto alla mediazione dei genitori o alla eventuale disponibilità di chi ha appena finito di esibirsi.
Non ho gli strumenti per replicare a questo intervento, ma nei giorni successivi, mano a mano che mi addentro nel festival, mi trovo a utilizzarlo come lente interpretativa: è possibile concepire drammaturgicamente l’intera esperienza teatrale? Ed è possibile che quella legata al teatro d’infanzia lo sia già, come se fosse l’avventura di un eroe?
All’inizio delle storie, generalmente c’è qualcuno che chiama il protagonista all’azione e lo spinge da un mondo ordinario a uno straordinario. Un mentore di inquietante, a volte deleteria, esperienza: Obi Wan Kenobi dona la spada laser a Luke Skywalker; Scar spinge Simba fuori dalle terre del branco; Circe suggerisce a Odisseo la strada per accedere all'Ade. Allo stesso modo, i bambini in attesa di assistere allo spettacolo interattivo BB vengono raggiunti dagli attori e dalle attrici del Wonderland Collectief e, insieme ai genitori, invitati a entrare nello spazio teatrale; oppure, prima di Mobil’Âme della Compagnie de l’Échelle, sono accolti da Galatée Auzanneau e condotti ai propri posti attraverso un sentiero illuminato da piccole lampadine. Non si tratta delle maschere che troviamo ad accoglierci nelle platee dei teatri, benché anche loro mantengano un certo codice e una certa postura, ma di personaggi che attivano una storia.
È poi possibile che la chiamata all’azione venga, almeno inizialmente, rifiutata: Frodo vuole affidare a Gandalf l’Anello che ha appena ereditato; il protagonista di Fight Club non intende scazzottarsi con Tyler Durden; Rocky Balboa scaccia il proprio allenatore che gli annuncia la sfida di Apollo Creed. L’eroe, respingendo l’invito all’avventura, respinge l’abbandono delle proprie certezze e lo sgretolamento del quotidiano: insomma, il rischio di morire, se non del sé biologico, almeno di quello che ha desiderato qualcosa e ci ha scommesso sopra. Ogni inizio suggerisce la propria fine.
E così ci sono bambini che puntano i piedi, si nascondono tra le gambe dei genitori, piangono se avvicinati o ingaggiati; altri che sciolgono le proprie riserve e timidamente si approssimano alla scena; altri ancora che vi si lanciano per un’innata curiosità o incoscienza. Sono diverse le tipologie degli eroi.
Spesso poi, una volta seduti, non si limitano ad assistere ai conflitti tra personaggi, ma vogliono risolverli o portarli all’acme. In About a Mole di Meneer Monster danno indicazioni concitate al Cane che, furibondo, cerca la Talpa che gli ha defecato in testa; oppure tentano di attirare il crudele padrone de La Fabbrica del tempo (Principio Attivo Teatro e La luna nel letto) al nascondiglio del suo vessato dipendente, dimostrando molta più sensibilità verso la dinamica dell’azione che verso la giustizia di classe. Desiderano modificare la storia o, se la storia non c’è, semplicemente contattare lo spazio scenico.
Infine, quando lo spettacolo si direbbe finito, entrano in quel momento evocato nello spuntino critico: come avevo visto fare a Diana Anselmo, i performer generalmente restano in scena e chiacchierano con gli spettatori, come gli Eccentrici Dadarò al termine di A pesca di emozioni; a volte fanno loro maneggiare gli oggetti di scena (la fisarmonica di BB e i finti escrementi di About a Mole), fino a permettere di portarli via, come nel caso del nastro adesivo che compone interamente la scena in Kill Your Darlings della Joshua Monten Dance Company. È quello che Christopher Vogler, nel saggio Il viaggio dell’eroe, chiamerebbe il Ritorno con l’elisir: l’eroe ritorna nel proprio mondo ordinario con qualcosa che ha modificato la sua condizione di partenza, un tesoro, un insegnamento, un potere, uno status. Beatrix Kiddo si ricongiunge finalmente con sua figlia; Harry Potter riunisce i tre doni dei fratelli Peverell; in C’è posta per te, Meg Ryan riconosce Tom Hanks: “Volevo tanto che fossi tu. Volevo che fossi tu con tutta me stessa”.
Nel teatro d’infanzia tutto può essere drammaturgia e lo spettatore bambino ne è il protagonista. Per questo gli spettacoli meglio riusciti sembrano quelli che più riescono a sollecitare un suo intervento e a darvi una direzione: la relazione tra palcoscenico e platea ha qui un fondamento non solo estetico, legato alla percezione, ma creativo, co-autoriale. Dà vita a un processo di avvicinamento e accoglienza dell’ignoto e delle sue insidie che è raro trovare sintetizzati con una tale evidenza. E commuove perché solletica, probabilmente non in chi lo compie ma di sicuro in noi che lo osserviamo, il desiderio di qualcuno che ci chiami al viaggio, ci porga una bicicletta e ci inviti ad andare.
SEGNI New Generations Festival 2024, Mantova (1-3 novembre 2024)
Spettacoli menzionati:
BB Danza e ascolta con Makiko
di Makiko Ito
Compagnia: Wonderland Collectief
Con: Makiko Ito, Raoul Germano, Kristján Martinsson, Nina Hitz
Autoritratto in tre atti
Di e con Diana Anselmo
Mobil'Âme
Compagnie de l’Échelle
Idée originale: Bettina Vielhaber-Richet
Jeu et manipulation: Bettina Vielhaber-Richet
Musique originale: Martin Mabz ou Emmanuel Cheau
Jeu et musique: Martin Mabz ou Emmanuel Cheau
Jeu: Galatée Auzanneau
Mise en scène: Bettina Vielhaber et Marja Nykanen
Création visuelle: Éric Godoy
Mots de Jeu de Mots: Marja Nykanen
Création lumière: Laurent Blanchard
Régie: Olivier Schwal ou Anaïs Bollègue ou Grégory Cosenza
Scénographie: Alain Richet
Costumes: Magali Leportier
Un grand Merci à Sabine Jäckel et Sarah Taupenot
Production: Compagnie de l’Echelle
Coproduction:
Lillico / Scène conventionnée d’intérêt national en préfiguration / Art, Enfance, Jeunesse à Rennes? MJC de Pacé, à Pacé, Théâtre Le Périscope à Nîmes
Avec le soutien de: La Région Occitanie, Conseil Général du Gard, Théâtre Albarède à Ganges, Commune de Ribaute les Tavernes, Festival Mômes Ô cœur à Badaroux, SIVOM à Vrigne-Vivier, Association Aurora à Nantiat, Marionnettissimo à Tournefeuille, MIMA à Mirepoix
A pesca di emozioni
Liberamente ispirato a “I colori delle emozioni” di Anna Llenas
di Umberto Banti, Simone Lombardelli, Dadde Visconti
regia Dadde Visconti
con Umberto Banti, Simone Lombardelli
costumi Francesca Biffi
scenografia Damiano Giambelli
disegno luci Dadde Visconti
vfc Francesca Zoccarato
musiche Marco Pagani
produzione Eccentrici Dadarò
con il sostegno di Residenza Carte Vive/teatro in-folio
con il sostegno di Next – Laboratorio delle idee per la produzione e programmazione dello spettacolo lombardo – Edizione 2022/2023
About a mole
Compagnia: Meneer Monster
Con: Chris Koopman, Christiaan Bloem
Kill Your Darlings
Choreographer: Joshua Monten
Dancers:
Joshua Monten
Jack Wignall
Vittorio Bertolli [alternate]
Armando Disanto [alternate]
Sandra Klimek [alternate]
Konstantinos Kranidiotis [alternate]
Valentin Markus Oppermann [alternate]
Alexandre Nadra [alternate]
Petr Nedbal [alternate]
COSTUMES
Verena Leo
PRODUCED BY
Tough Love
SUPPORTED BY
Swiss Arts Council Pro Helvetia
SWISSLOS/Kultur Kanton Bern
Kultur Stadt Bern
Loterie Romande / Corodis
Dampfzentrale Bern
Oertli Stiftung
La fabbrica del tempo
una co-produzione di Principio Attivo Teatro e La luna nel letto
con Dario Cadei e Giuseppe Semeraro
regia, drammaturgia, disegno luci e scene Michelangelo Campanale
cura del movimento Vito Cassano
scenotecnica Michelangelo Volpe
costumi Maria Pascale
sonorizzazioni e tecnica Vincenzo Dipierro
Komentarze