«Perché applaudiamo e a che cosa?» si chiede Peter Brook nel primo capitolo de Lo spazio vuoto (1968).
Me lo chiedo anche io appena uscito dalla prima di Revérsible, al teatro della Tosse.
La domanda è centrale: l’applauso è la misura tangibile della ricezione del pubblico, è l’espressione fisica del suo sguardo; dall’applauso si può capire come il pubblico guarda, ha guardato o guarderà. L’applauso parla del pubblico, prima ancora che dello spettacolo.
Ricordo la platea dell’allora Teatro Stabile di Genova, era il 2014, esplodere all’entrata in scena di un Tullio Solenghi/Tartufo. Applauso patriottico, forse campanilista, ma immediato e sentito.
Ricordo anche un Servo per due, sempre allo Stabile, con Pierfrancesco Favino che, dopo un risposta salace caduta nel silenzio, si girò verso il pubblico ammiccando furbescamente: seguì un applauso di cortesia.
Revérsible non è interpretato da attori genovesi o televisivi, non è un testo “classico” della storia del teatro, anzi, non possiede quasi alcun testo né una precisa linea narrativa: in una veloce visione panoramica, Revérsible è uno spettacolo circense, diviso in sezioni individuali e corali, in cui gli otto performer della compagnia Les 7 doigts de la main esibiscono la loro abilità nel movimento a corpo libero, nella giocoleria, nelle acrobazie al palo cinese...
Nella prima azione collettiva, la facciata bassa, grigia, serrata di quella che sembra una casa di estrema periferia viene scavalcata, aperta, chiusa, sorpassata, spostata, mostrata al suo interno, ricomposta: gli spazi dati per pieni vengono svuotati, quelli ovviamente vuoti sono riempiti, e questo vale per l’intero palcoscenico che viene continuamente attivato, negato e rivoltato dalla presenza dei performer. I panni stesi nel penultimo riquadro non sono altro che presenze di un’assenza: indossandoli, i performer manifestano in maniera elementare il proprio corpo “puro”, presente.
La bravura dei danzatori quasi commuove il pubblico della Tosse, che applaude pieno di stupore alla fine di ogni sezione, segnando marcatamente quello che forse rappresenta l’unico limite dello spettacolo, la sua rigorosa ripartizione. Il fatto che i performer capiscano l’antifona e arrivino a cercare gli applausi alla fine di ogni esibizione, soprattutto di quelle personali, non fa che irrigidire ulteriormente la struttura di Revérsible, la cui idea di fondo, a partire dal titolo, richiama invece la fluidità.
I continui, a volte forzati, applausi necessariamente distraggono da una visione dello spettacolo che va al di là del bel gesto o della prodezza fisica. Tuttavia, accusare il pubblico della Tosse di reagire in modo inopportuno, fastidioso o provinciale nasce da una visione piuttosto reazionaria del teatro.
Se il teatro non è mai stato puro esercizio contemplativo, ma dialogo incessante tra attore, ambiente e spettatore, allora non ha senso guardare al palcoscenico come a un acquario immacolato e al pubblico come a un bambino stupefatto. Al di là dei tentativi di mettere programmaticamente al centro lo spettatore e la sua percezione, bisognerebbe prima di tutto rivedere la sua condizione. Per delle nuove regole e delle nuove abitudini, dovrebbero essere accettati, in quel che resta della ritualità teatrale, gli applausi improvvisi, gli squilli dei telefonini, i commenti a voce alta, i silenzi, se lo spettacolo li merita.
Elementi di pregio: la fluidità dei pieni e dei vuoti sottesa ai raffinati movimenti dei performer.
Limiti: la meccanica ripartizione dello spettacolo.
Les 7 Doigts (The 7 Fingers) – Cofondatori e Coodirezione artistica Shana Carroll, Isabelle Chassé, Patrick Léonard, Gypsy Snider, Sébastien Soldevila, Samuel Tétreault
C.E.O Nassib El-Husseini
Co-Produzione: Théâtre du Gymnase e Bernardines (Marsiglia, France), Thomas Lightburn (Vancouver, Canada), TOHU (Montreal, Canada) Commissioning Partner La Strada (Graz, Austria)
Les 7 Doigts è supportato dal Conseil des art et des lettres du Québec,
Conseil des arts de Montréa e Conseil des arts du Canada
Tour italiano a cura di Mauro Diazzi srl
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