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Irene Buselli

Short Skin | La pelle di un adolescente è una coperta troppo corta


Short Skin

Parlare di adolescenza - indipendentemente dall'intento con cui lo si fa - significa necessariamente indagare la serrata convivenza di passioni sfrontate e tagliente senso di inadeguatezza. In Short Skin questa convivenza non è soltanto l'oggetto drammaturgico, ma ne diventa, nel procedere dello spettacolo, la cifra stilistica: momenti dalla potenza esplosiva - in cui i giovani attori riversano la personalità dei loro personaggi in monologhi quasi urlati, nell'urgenza di dire tutto - si alternano a lunghe scene completamente mute, dove pochi gesti dal forte impatto simbolico diventano l'unica forma di espressione possibile, accompagnati da brani pop che superano decisi il ruolo di semplice colonna sonora. L'intensità di Short Skin si manifesta soprattutto in questa sua dimensione più corporea; e non potrebbe, forse, essere altrimenti, visto che il corpo si fa carico di un forte valore metaforico già a partire dal titolo. La pelle di un adolescente non è lunga abbastanza, il suo fisico cresce conquistandosi nuovi spazi in modo spesso goffo, la metamorfosi da bambino ad adulto lo coglie impreparato. Nell'esplorazione di quest'aspetto, lo spettacolo apre una serie di finestre sul rapporto dell’adolescente con il proprio corpo, tra le insoddisfazioni personali e i pericoli di internet, rete pronta a fagocitare acriticamente scatti fotografici troppo intimi e risputare insulti vigliacchi. E la lotta contro una fisicità tanto complessa passa anche, a volte, dal sangue, dall'autolesionismo, dalla ricerca di un dolore abbastanza forte da risvegliare qualcosa di autentico. Ma Short Skin va oltre questa dimensione, si spinge su un livello metaforico diverso: la pelle di un ragazzo è una coperta troppo corta perché mostra sempre qualcosa in più di quel che si vorrebbe, mette a nudo parti che preferirebbe nascoste e ne copre insistentemente altre. È forse quello che non riusciamo a coprire, ciò che ci espone, a rimanere per sempre in noi come segno indelebile della gioventù? I protagonisti si pongono domande, contestano, si sentono precari e rispondono con arroganza. Gli adulti sono altro da loro, sono coperti in ogni centimetro, si aggirano per il palco con la faccia prudentemente nascosta sotto una calzamaglia: la loro pelle è della misura giusta, sono esseri incomprensibili eppure sempre fastidiosamente prevedibili, con cui comunicare è impossibile, a cui assomigliare è spaventoso.

Senza raccontare una storia, evitando la ricerca di un’innaturale fluidità, lo spettacolo - scritto e diretto da Massimiliano Cividati - evoca invece di mostrare, e riesce così ad aggirare, nella maggior parte dei casi, il rischio del cliché; rischio che al tempo stesso accoglie, andando alla radice del significato di luogo comune: topos, catalogo delicato di situazioni e sensazioni condivise da molti. Senza ridurre l'adolescenza a un semplice passaggio di stato che tutti subiamo necessariamente allo stesso modo, Short Skin riesce a ricordarci l'autenticità che risiede in quei centimetri di pelle mancanti che tutti, prima o poi, abbiamo avvertito.

Elementi di pregio: la capacità della forma di adattarsi alla sostanza, alternando silenzi ed esplosioni. L'approccio fortemente metaforico a una materia in cui è insito il rischio dell'eccessivo didascalismo. Limiti: la scelta di porsi in modo sostanzialmente celebrativo nei confronti dell'adolescenza, dando talvolta l'impressione di trattare anche agli atti più violenti - bullismo, autolesionismo - come passaggi naturali.

testo e regia Massimiliano Cividati con Camilla Pistorello, Marco Rizzo, Camilla Violante Sheller, Libero Stelluti e Matteo Vitanza assistente alla regia Raffaella Bonivento Aia Taumastica con il sostegno di Residenza Teatrale Torre dell’Acquedotto

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