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Matteo Valentini

Something Stupid | Tentativi di effrazione drammaturgica

[Questo spettacolo è stato visto il 4 agosto all’interno del Terreni Creativi Festival: qui un reportage dell’intera giornata]

Daniele Natali e Fausto Paravidino in Something Stupid_Foto di Luca Del Pia
Foto di Luca Del Pia

«Questo non è teatro di prosa, non è stand-up, non è una conferenza», così Fausto Paravidino e Daniele Natali introducono il loro Something Stupid, in scena all’interno di uno dei magazzini dell’Ortofrutticola per la tredicesima edizione di Terreni Creativi.

La «cosa», così viene definita sul foglio di sala, creata dai due attori in scena, ha origine dal comune senso di insoddisfazione nei confronti del teatro italiano post-pandemico, colpevole, secondo loro, prima di non aver riflettuto sulla propria evidente marginalità rispetto ai bisogni del pubblico e ora di riproporre stancamente gli stessi spettacoli, format e dispositivi sospesi con l’inizio della pandemia.

Individuare e risvegliare l’essenza del teatro, ossia l’incontro e il dialogo tra esseri umani, è il compito che si dà Something Stupid: «Se adesso siamo molto vigliacchi, rischiamo di fare qualcosa che assomiglia a uno spettacolo; se siamo un pochino più coraggiosi, vorremmo cercare di parlare con voi, e quindi di permettere a voi di parlare con noi», dice Paravidino, chiudendo il prologo di quello che si preannuncia come un assalto alla drammaturgia autoriale.


Tra orango di peluche (o peluche a forma di orango, che dir si voglia) e zie negazioniste (ma in fondo di buon cuore), il ragionamento di Paravidino e Natali si snoda in modo piuttosto lineare. Nella prima parte, la più avvincente, si discetta attorno alle convenzioni linguistiche, cognitive, interpretative che ci aiutano a leggere e percorrere il mondo e a come queste vengano messe in dubbio, a ragione o a torto, da un certo pensiero relativista e, in particolare, complottista: come convincere uno scettico incontrato in un bar del fatto che un tavolino non è un leone? In questa fase il pubblico è maggiormente propenso a inserirsi negli spazi di intervento concessi dai due autori con osservazioni più o meno acute.


La seconda parte, più accidentata, vede introdurre i problematici concetti di maggioranza e minoranza: di fronte a certe infrazioni alla logica comune e all’autorità scientificamente costituita, Paravidino confessa di sentirsi in una posizione scivolosa e minoritaria. La questione, afferma il drammaturgo, non è tanto numerica, quanto percettiva: «Sapere le cose sbagliate tiene compagnia. Non ci sono fan della terra tonda, ma quelli che hanno scoperto che la terra è piatta hanno un grandissimo entusiasmo e moltissime cose di cui parlare».

Chi sa di non sapere viene messo a confronto con coloro che lo ignorano, il dubbioso con i bene informati, l’intellettuale isolato con la massa roboante. Entrambe le polarità, si dice, sono risultati della solitudine dell’uomo contemporaneo, a cui viene contrapposta la condizione rigogliosamente comunitaria di un edenico quanto fumoso uomo del passato.

Si profila una minoranza scontenta, sconfitta e incapace di desiderare, che commisera il proprio attivismo da computer, la desertificazione delle piazze, l’affievolirsi dell’impegno, ignorando la potenza politica delle piccole azioni legate all’associazionismo o al volontariato, in cui Paravidino e Natali vedono invece brulicare la fede, il desiderio e la speranza della nostra frustrata comunità post-ideologica.


Daniele Natali e Fausto Paravidino in Something Stupid_Foto di Luca Del Pia
Foto di Luca Del Pia

Al di là delle sue opinabili demarcazioni e delle sue scorciatoie retoriche, il filo argomentativo di Something Stupid regge e, soprattutto, avvince il pubblico. Non è però chiaro se i due autori intendano rappresentare soltanto loro stessi o, attraverso il meccanismo dello spettacolo allargato, anche chi in platea vorrebbe andare oltre il semplice coinvolgimento estemporaneo e discutere, dissociarsi o dissentire.

Infatti, nonostante l’intento di far coincidere drammaturgia e conversazione venga annunciato fin dall’inizio, nei fatti l’impianto di Something Stupid è quello tradizionalmente verticale, diviso tra attori illuminati sul palcoscenico e pubblico immerso nell’ombra della platea. Mancando una redistribuzione dei corpi nello spazio teatrale, gli spettatori non sono riconosciuti – e riconoscibili – abbastanza da osare qualcosa di più del commento “brillante” o dell’intervento autoconclusivo, che peraltro non sembrano incidere davvero sull’andamento dello spettacolo, e, di conseguenza, lasciano che gli interpreti continuino ad assumersi integralmente la responsabilità della creazione del senso.


Nell’alternarsi di spinte anarchiche e conservatrici, si riconosce in Something Stupid la stessa indagine vorticosa che caratterizza alcuni lavori di Paravidino visti in scena negli ultimi anni, da Il senso della vita di Emma a Genova 21, e che si incentra sull’abitare il mondo contemporaneo e sul confronto con le mostruosità del tardo-capitalismo. La scrittura di Paravidino sembra fondarsi su sospetti, dubbi e intuizioni; le sue manifestazioni non sono spettacoli conchiusi, ma carotaggi da un terreno in perenne sommovimento ed eruzione; il suo incedere prolisso, contraddittorio ed erratico è parte integrante di questa ricerca e contribuisce, assieme a un’intelligenza magmatica, a interrogare lo spettatore, senza mai consegnargli risposte definitive o granitiche certezze.

Elementi di pregio: si avverte un flusso di pensiero ininterrotto che coinvolge questa e altre drammaturgie di Fausto Paravidino, disegnando un percorso di senso coerente e affascinante.

Limiti: la mancata messa in discussione dello spazio teatrale rende impossibile costruire un’effettiva conversazione con il pubblico, vanificando le condizioni di partenza dello spettacolo.


Something Stupid

Visto il 4 agosto 2022 a Terreni creativi Festival

una cosa di e con Daniele Natali e Fausto Paravidino

produzione NIM - Neuroni In Movimento

Foto di Luca Del Pia

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oca, oche, critica teatrale
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