0. Albenga, le onde nere e una sfilata.
Albenga all'imbrunire ha – almeno – due anime: in un centro storico scalcinato e affascinante, ogni piazza ospita localini in cui bere e mangiare – aggiunta per i genovesi: persino di domenica; un lungomare ventoso e malinconico, provinciale ostaggio di bancarelle, in cui l'umanità nemmeno troppo varia si sforza di sfidare il rumore imponente delle onde con il ritmo ossessivo delle proprie abitudini, rimuginando nel passeggio.
Una manciata di metri prima di arrivare al luogo dello spettacolo, appena all'imbocco del Lungomare Andrea Doria, ci imbattiamo in un'altra manifestazione, sempre all'aperto: un palcoscenico, una presentatrice, un bel piazzato composto da un cospicuo numero di fari, un microfono sul proscenio, una musica senza nome che fa subito estate e tonicità, una folla gremita tutta intorno. Per un attimo, abbiamo il sospetto che lo spettacolo che siamo venuti a vedere sia qui.
Ma non è così.
La presentatrice dà l'inizio all'evento dopo brevi frasi di benvenuto. Entra così la prima concorrente. Si tratta di una modella in costume da bagno, cammina, si volta, ancheggia, poi va verso il microfono, saluta educatamente, declama il suo nome e la sua provenienza – la parola "Milano" riverbera lontana in questa notte di fine estate un po' ostile – infine si cristallizza in una posa plastica sul fondo della scena, con le braccia lungo i fianchi e un sorriso d'avorio. Lascia il palco prima a una, poi a un'altra ragazza, diversi i costumi, simili le movenze, vengono da Genova o posti limitrofi. Piccolo incidente tecnico: il microfono improvvisamente si inceppa proprio quando una di loro prova a presentarsi.
Colto alla sprovvista da questo momento di discontinuità, mi rendo conto che le modelle che stanno sfilando sul palcoscenico sono adolescenti.
Stanno recitando una parte, hanno movenze predefinite secondo uno standard “di genere” (quello delle sfilate), prendono parte a un gioco/rito collettivo in cui si sceglierà, probabilmente, la più bella, ovvero, in questo caso, colei che avrà eseguito la sua parte meglio, con più disinvoltura, con più personalità. Una gara di bellezza declinata al femminile. Mi sono chiesto, pur già conoscendo la risposta: può essere considerata formalmente anch’essa “teatro-ragazzi”?
Questa provocazione gravita intorno al tema per me irrisolto, ancora: che cosa è e cosa non è “teatro-ragazzi”? Si parla di teatro ragazzi quando lo spettacolo è rivolto a ragazzi? La sfilata lo era certamente. Quando tratta di tematiche infantili o adolescenziali? In questo caso, ho sentito, nei passi delle partecipanti, nella voce priva di controllo amplificata dal microfono, nel loro modo di “impersonare il proprio ruolo”, molte tematiche adolescenziali, l’accettazione di sé, la liberazione dai propri timori, il rapporto con l’esibizione del proprio corpo in pubblico, la lotta per l’affermazione della propria identità e altro ancora. La gara-sfilata non è teatro, mi si dirà. Ed è oggettivamente vero. Ma con il teatro ha formalmente alcuni indiscutibili elementi in comune.
Il pubblico, nel numero, quello sì, era ben differente. Una nutrita folla, ben più di un centinaio di persone, per la sfilata; molti di meno, purtroppo per lo spettacolo etichettato “teatro ragazzi” che sono andato a vedere, pochi metri più in là. Certo, l’uno era gratuito e all’aperto, l’altro sempre all’aperto, ma a pagamento.
Eppure ho la sensazione che il punto non sia questo. E forse non sta nemmeno nella eventuale avvenenza delle ragazze in sfilata o della presenza di parenti tra il pubblico.
Forse il punto sta proprio nell’etichetta. In quel modo che abbiamo di “targetizzare” gli spettacoli per motivi commerciali. In quel “per ragazzi” che non sembra mai “per tutti”.
1. TRE - il teatro, se è per ragazzi, è per tutti
La rassegna Ragazzi: Teatro! curata da Kronoteatro e sostenuta da MIBAC, Comune di Albenga e, soprattutto, dalla Compagnia di San Paolo, si svolge all'interno del Seminario Vescovile, un ampio spiazzo d'erba che si estende sul retro di una chiesa, piccola ma ben conservata.
Sottolineo innanzitutto la acutezza della scelta del nome "Ragazzi: Teatro!" che ha almeno due punti di forza, il primo nei segni di punteggiatura, il secondo nel tentativo di sabotare un genere nel suo interno.
I due punti rappresentano una sospensione che crea attesa e fiducia. Con il supporto della Treccani, apprendo che possono introdurre "una dimostrazione, la conseguenza logica di un fatto, l'effetto di una causa" e così il mondo dei ragazzi può essere riconsiderato come un innesco di conflitti, di relazioni complesse, di azioni forti, estreme, articolate, contestualizzate: ovvero il teatro.
Il punto esclamativo, infine, evidenzia chiaramente l'affermazione lampante, l'enfasi di una scoperta o di un'intuizione. L'esistenza di qualcosa. Il teatro! Dopo mesi che non andavo più a vedere uno spettacolo, questo punto esclamativo è davvero un ritrovamento importante.
Ma ciò che rende speciale l'etichetta di questa rassegna è l'effetto di straniamento, di sovvertimento di valori, di cambio di punto di vista che si avverte subito leggendo la consueta e logora targhetta del "teatro ragazzi" rovesciata in "Ragazzi: Teatro!". La ricerca va all'opposto della direzione attesa, sin dal titolo, sin dalle premesse.
Così Kronoteatro sceglie di ospitare, per il terzo e ultimo appuntamento di questo piccolo ma saldo tentativo di riformulazione di un "genere", Marta Abate e Michelangelo Frola di Scena Madre, con il più recente dei due allestimenti con i quali il giovane gruppo si sta distinguendo nel campo del contemporaneo emergente, TRE – dell'altro, La stanza dei giochi abbiamo già parlato qui.
Tre è il numero perfetto che regola il rapporto del tutto imperfetto tra i genitori Simone / Simone Benelli e Giulia / Giulia Mattola e il figlio adolescente Franci / Francesco Fontana.
L'inizio è puramente drammaturgico: un montaggio di frasi che gli attori rivolgono sul proscenio verso il pubblico consente subito di entrare nella narrazione di questa famiglia.
I genitori si presentano come personaggi complici del figlio, identificano in platea la professoressa che lo sottovaluta a scuola, l'allenatore di calcio che lo tiene in panchina, sostengono la sua rabbia, le sue frustrazioni, i suoi fallimenti, con un senso di rivalsa nei confronti di costoro e di (iper)protezione nei suoi.
La parola poi diventa azione e padre e madre individuano, all'interno di una scena popolata esclusivamente da sedie e facendosi largo tra esse, un sentiero,, in cui, con apprensione e ansia, guidano il loro Franci. Lui, per parte sua, percorre la strada che gli indicano i genitori, con un misto di ribellione frustrata e di pigro opportunismo. Illuminante, a tal proposito, lo scambio in cui il ragazzo sostiene di poter camminare anche da solo, senza la loro guida, ed entrambi i genitori, quasi in coro, ostacolano ogni suo tentativo di acquisire autonomia con la frase “Ma no, ci siamo noi, facciamo noi.”
Questa è la chiave della sofferta e contraddittoria adolescenza di Franci, di fronte alla quale i genitori oscillano tra tensioni, stress e tentativi di apertura e di ascolto, con effetti scenici a volte aspri e toccanti, altre volte decisamente spassosi. Su queste tracce, attraverso quadri abbastanza armonici sia nella durata che nell’energia, si articola la drammaturgia dell'intero spettacolo, che sceglie di rinunciare a una forma chiusa e predefinita, preferendone una più dinamica e flessibile. Essa, pur fondata saldamente su canovacci ben condivisi in fase di ricerca, si affida all'energica capacità del trio di interpreti di gestire i ritmi, gli spazi e di sostenere con generosità le reciproche improvvisazioni, che aggiungono alla forza delle idee di Frola e Abate l’efficacia e la concretezza delle proprie intuizioni. Certo, a volte questa scelta potrebbe esporre a delle fragilità, a seconda dei contesti, della forma fisica degli interpreti, della sfortuna. Ma questo rischio è affascinante.
TRE è il frutto di un lavoro di squadra lungo, paziente, resistente agli urti e alle precarietà del sistema teatrale. Se si aggiunge che in questa forma di teatro con adolescenti in scena e rivolta a tutti, non sembrano trovare casa stereotipi "di genere", pigrizia di stile, riproposizioni di cliché e che, a fronte di uno sfortunato problema tecnico legato al funzionamento dei microfoni, non v'è stato, almeno nel pubblico di Albenga, un bambino troppo piccolo o un adulto troppo grande che si sia perso una sola sillaba di ciò che è accaduto in scena, si può senz'altro dire che Tre sia uno spettacolo in grado non solo di funzionare, ma anche di emozionare tutti.
La qualità di questo potente e convincente "work in progress" che è TRE mi fa riflettere una volta di più su almeno due punti che cerco di sintetizzare:
Sarebbe importante che gli operatori che selezionano gli spettacoli per le stagioni teatrali di Genova consentissero a un'ampia fetta di pubblico genovese di rendersi conto dell'eccellenza ligure che sta emergendo - a fatica, ma nettamente. ScenaMadre fa teatro contemporaneo "per tutti", come Abate e Frola specificano sul loro sito: è vitale, oggi più che mai, un teatro che, prima ancora del target d'età e di genere, individui degli obiettivi di contenuto, con onestà intellettuale e lettura del reale senza filtri o piaggerie. Sarebbe dunque il momento di dedicare una ribalta speciale per i lavori di ScenaMadre, anche a Genova e non necessariamente in una stagione "per ragazzi";
Il teatro, cosiddetto, "per ragazzi", quando funziona, è teatro contemporaneo, a tutti gli effetti, si lascia attraversare dagli stessi temi e dalle stesse istanze che caratterizzano i capolavori solitamente considerati per gli adulti. Le domande sono altrettanto profonde; le ricerche, se intendono raggiungere strade nuove, devono essere ugualmente rigorose e sincere. La specificità del mondo dei ragazzi certo esiste, così come un linguaggio che tenga conto del loro ascolto peculiare, ma gli esiti di questo approccio non dovrebbero essere "nascosti" al mondo degli adulti, attraverso stagioni parallele, che, per come è strutturato il sistema teatrale, a volte sembrano quasi clandestine, un po' per gli orari pomeridiani, un po' per le differenze di budget, di comunicazione e di promozione. In sostanza, secondo me bisognerebbe osare di più e aprire con maggiore decisione il "teatro ragazzi" al circuito del pubblico adulto. Ma per farlo, non bastano le buone intenzioni, ci vogliono spettacoli di qualità e perché questi arrivino, bisogna puntare sulla ricerca vera, fare investimento sul territorio, dare concreto sostegno alle giovani compagnie. L'obiettivo, almeno per il pubblico genovese, più volte descritto come tendenzialmente anziano, coinciderebbe con l'utopia più bella del mondo: ringiovanire.
Elementi di pregio: 1) Francesco Fontana, sostenuto dai suoi due sensibili e generosi compagni di scena, Simone Benelli e Giulia Mattola, ha dimostrato una energia scenica dirompente e contagiosa; 2) la scelta di una drammaturgia “work in progress” porta lontano; 3) nonostante l’antenna di Radio Maria, posta accanto al palcoscenico, abbia impedito ai microfoni di scena di funzionare correttamente, lo spettacolo ha funzionato perfettamente nel ritmo, nei volumi, nell’intensità.
Limiti: almeno nella replica a cui ho assistito, nessuno. Forse il concorso di Miss Pin Up pochi metri più in là ha rosicchiato una fetta di pubblico importante. Infine, probabilmente, per il prossimo anno, consiglierei agli spettatori della rassegna Ragazzi: Teatro! di portarsi un maglioncino: se il vento si alza, fa veramente freddo.
TRE
Con Simone Benelli, Francesco Fontana, Giulia Mattola
Regia e drammaturgia Marta Abate e Michelangelo Frola
Produzione ScenaMadre
Co-Produzione Gli Scarti
visto ad Albenga il 30 agosto 2020 nella rassegna Ragazzi: Teatro! curata da Kronoteatro.
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