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  • Martina Cimino

“Un tipico pezzo di Milo Rau”? : Medea’s Children

Invasi come siamo da casi di cronaca nera, la trama di Medea’s Children è tristemente familiare a ogni spettatore che vi assiste: un infanticidio avvenuto in Belgio nel 2007, quando Geneviève Lhermitte, – nella finzione scenica Amandine Moreau –, mentre il marito è in Marocco, sgozza uno a uno i suoi cinque figli in una sera di febbraio.

Nulla di nuovo, potrebbe affermare lo spettatore che ha visto i primi due capitoli dedicati da Rau alla tragedia greca (Orestes in Mosul e Antigone in the Amazon): un correlativo oggettivo di una vicenda tragica. Un escamotage già usato dal regista, ma che qui raggiunge un picco nuovo, al punto che lo spettacolo inizia con un impianto da live set televisivo. Un dibattito post-spettacolo in cui gli attori rispondono a delle domande. Un escamotage in cui non c’è nessun intento mimetico; infatti, attraverso le risposte degli attori-bambini, quasi sempre eludenti le domande, la necessità di assistere realmente allo spettacolo sembra quasi sul punto di venir meno. 


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Foto di Michiel Devijver

Che ci sia stato o che ci debba ancora essere, cosa cambia? Questa la domanda che aleggia nella sala del Teatro delle Tese nell’ambito della 52esima edizione della Biennale Teatro, dove lo spettacolo è stato presentato in prima nazionale.

Tuttavia, bisogna stare attenti a non farsi ingannare; perché è proprio questo ammiccamento al pubblico, con molteplici digressioni sulla tragedia classica e su come i figli della donna di Colchide fossero ridotti al silenzio, a fornire l’ingresso nella molteplicità di livelli in cui lo spettacolo s’ingorga. È infatti nel racconto dell’esperienza, teatrale e biografica, fondante degli attori-bambini che viene mostrato il cortocircuito di essere tali e avere la propria voce ascoltata in un mondo adulto pervaso di violenza. A dare spazio a questa ingenuità infantile non è solo questa parte iniziale diretta dall’acting coach Peter Seynaeve – unica presenza adulta in tutto lo spettacolo –, ma l’estetica stessa dello spettacolo che sembra tradurre la forma tragica nelle tinte di un mondo fiabesco. Infatti, quando a turno i giovani attori interpretano i diversi personaggi del caso di cronaca, ecco che il tono della rappresentazione vira verso quello della fiaba. E con esso anche l’allestimento scenico, composto dal proscenio pressoché vuoto e più in là, sulla destra, la riproduzione di una tipica casa belga, e dei costumi che sembrano quelli di una recita scolastica. Sullo sfondo, uno schermo occupa la parte superiore e mostra in video preregistrati la vicenda tragica di Medea ambientata sulla spiaggia di Osteede, e poi, nel corso dei vari capitoli, interviste fittizie ai coniugi Moreau e al dottor Glas – patrigno del marito –. Tutto ciò alternato a delle inquadrature dei volti degli attori-bambini in scena che si confrontano con il sé adulto del video e con le riprese live della telecamera manovrata da Peter Seynaeve. Un utilizzo, dunque, quello del mezzo multimediale che, alterando la percezione di ciò che sta accadendo sul palcoscenico, intende superare quella distanza che il teatro di per sé impone con la propria dimensione di un’artificiosità sempre sul punto di svelarne i propri meccanismi. 


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Foto di Andrea Avezzù

Qui, a prevalere sulla totalità dell’immagine è il dettaglio dell’inquadratura che, oltre a relativizzare il fatto scenico, lo riporta alla dimensione fiabesca in cui gli attori-bambini agiscono. E a questo serve anche la presenza costante di Peter Seynaeve che, oltre a riprendere i bambini-attori, ne interrompe l’azione per complimentarsi o consolarli, forse anche allo scopo di disattendere ogni aspettativa mimetica, fornendo i ganci necessari al dialogo tra presente e altrove tragico che è il terreno di gioco in cui Rau si muove. Un reenactment che è una costante ricerca di prove di un male che deve ancora avvenire e che, nel momento in cui avviene, mostra una violenza talmente esibita da far venire voglia di distogliere lo sguardo, proponendo una questione chiave: fin dove ci si può spingere nel mostrare qualcosa sul palco? 

Ma, se a inquietare forse in maniera maggiore sono le immagini trasmesse sullo schermo di oggetti apparentemente casuali – un paio di occhiali, una bottiglia di plastica, una vecchia tv con un cartone animato di Topolino – inquadrati dalla telecamera di Seynaeve abbandonata a terra, è il momento in cui i cadaveri si alzano da terra e si passano un lembo di tessuto per ripulirsi dal sangue a mostrare nuovamente un’umanità che resiste al tragico in una sorta di atto sesto incentrato sulla catarsi. Un atto in cui l’uccisione del mostro è il momento in cui un “lieto fine” può realizzarsi e in cui questa nuova Medea non può che essere assolta, perché, come risulta dal monologo di Amandine, è soltanto una donna ferita che, sprofondata nell’abbandono e nelle aspettative sociali dell’essere madre, incarna un modo di essere straniera, anche a se stessa. 

Eppure, se con l’uccisione del drago l’ordine fiabesco sembra essere ristabilito, forse una differenza c’è: la domanda di Van de Casteele a Seynaeve su un possibile ritorno di Dirk – l’altro fantomatico coach di cui tutta l’opera è pervasa come un’eco di beckettiana memoria. L’unica risposta possibile? Forse proprio quella che Beckett mandò alla prima di Aspettando Godot (1953) quando gli venne chiesto del significato: “[…] Ma è possibile…forse [i personaggi] vi devono delle spiegazioni”. Ed è proprio ciò che accade per l’intero spettacolo: gli attori-bambini che raccontano di sé e del teatro che hanno scelto di fare, in modo particolare dopo l’uccisione del drago che si rivela essere Rau stesso.



Medea’S children di Milo Rau, visto il 29 giugno 2024, Teatro alle Tese, Venezia-Biennale Teatro 2024


Con Peter Seynaeve, Bernice Van Walleghem, Aiko Benaouisse, Ella Brennan, Helena van de Casteele, Juliette Debackere, Elias Maes

Ideazione e regia Milo Rau

Drammaturgia Kaatje De Geest

Video design Moritz von Dungern

Disegno sonoro:Elia Rediger

Disegno luci Dennis Diels

Scene ruimtevaarders

Costumi Jo De Visscher

Attrezzeria Joris Soenen

Produzione NTGent

Coproduzione La Biennale di Venezia, Wiener Festwochen, ITA – Internationaal Theater Amsterdam, Tandem – Scène nationale (Arras Douai)

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oca, oche, critica teatrale
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